<< Vincere >> di Marco Bellocchio è uno di quei film che meriterebbero almeno una seconda visione. Perché è meno semplice di ciò che mostra, perché si inserisce alla perfezione nell’ormai lungo cammino dell’autore, un uomo << contro >> nel panorama del cinema italiano, un uomo convinto delle proprie idee, dei propri punti interrogativi, un uomo che in definitiva arricchisce lo spettatore anche quando, e non è questo il caso, il prodotto finale non è all’altezza delle aspettative. Cosa vuole mostrare Bellocchio attraverso la tragica storia di Ida Dalser, di suo figlio e di Benito Mussolini? Certo non una storia di semplice passione e amore unilaterale. E nemmeno un rapporto di casualità tra vittima e carnefice. In << Vincere >> il privato si inserisce alla perfezione nel corso della storia, negli eventi che portano Mussolini da giovane idealista assetato di ambizione all’ascesa e alla caduta. Ma la figura del dittatore è allegorica e non per niente tutta la parte iniziale del film viene girata e soprattutto montata dall’autore e dai suoi collaboratori come se fosse un’opera lirica carica di metafore elementari, quasi di burlette , nelle quali i cinegiornali d’epoca, i colori scuri e le penombre di Ciprì avvertono lo spettatore che nulla ci sarà da ridere o da sorridere perché il melodramma a poco a poco confluirà nella cupezza di una tragedia greca, dove il cinema di Bellocchio si esalterà a giocare, come spesso fa,coi fili mentali dei propri perdenti. Ed è dallo sguardo dolcissimo, disperato e allo stesso tempo carico di vita di Giovanna Mezzogiorno che lo spettatore proverà un senso di appartenenza alla storia che si vuole raccontare frame dopo frame, in un crescendo di sgomento, di sbandamento, di quel senso di vuoto dell’individuo nei confronti del sopruso, sia esso sociale o privato, che nessuno in Italia sa descrivere come Bellocchio.Il dramma di Ida Dalser, sfruttata e abbandonata, cancellata dalla storia dal dittatore eppure capace di urlare la propria esistenza anche rantolando, è lo stesso del singolo a cospetto del muro che separa l’individuo privato dalla cosa pubblica, che in questo film è beffa, è cornice senza quadro, è solo un velo sottilissimo che cela il potere, l’ansia di esso, la fascinazione del dominio.Bellocchio ce lo spiega in modo molto semplice: il giovane Benito Mussolini, l’uomo di potere prima ancora del dittatore, fa l’amore con Ida Dalser ad occhi aperti, immagina scenari, costruisce idee come se fosse designato da una mano superiore. A poco a poco, perché quella è la sua indole, si stacca dall’uomo, entra in un’altra dimensione, effettua un taglio netto con la sfera dei sentimenti, con la passione perché l’unica passione sulla quale può contare è la realizzazione di un piano, di un progetto, di potere appunto. Il Mussolini di << Vincere >> è pura passione per sè stesso. Non c’è una riflessione sul fascismo o sulle dittature: è un ragionamento, quello di Bellocchio, sull’indole dell’uomo.E’ ugualmente passione ciò che Ida Dalser e il figlio provano per Benito Mussolini, l’artefice del loro dramma esistenziale. Una passione cieca, che non si arresta, che è ossessione e fonte di vita, scopo di vita, sia essa urlare del proprio passato per ribadirlo, sia ricercare compulsivamente il padre, anche imitandolo prima della pazzia.C’è poi la domanda su quale sia il tipo di amore che lega Ida a Mussolini. E’fascinazione allo stato puro nei confronti di chi trasuda potere, è un amore in ogni caso malato, stupido, cieco proprio come l’ambizione.In << Vincere >> ognuno dei protagonisti finisce schiacciato dalla storia che essi stessi hanno provveduto a creare o a subìre. E’un mondo quello di Bellocchio di sconfitte universali e private, una visione arrabbiata sull’esistenza e senza troppe speranze, senza alcuna via di fuga dal destino. << Vincere >> è la versione del XXI secolo de << I pugni in tasca >>, i burattini della vita sono inesistenti se non ci sono anche gli altri. La storia dell’uno rimanda alla storia dell’altra.Giovanna Mezzogiorno è bravissima, intensa, comunicativa. A Filippo Timi basta stare in scena poco per lasciare a bocca aperta chiunque: d’altronde questo è un attore che gli amanti del teatro e del cinema che raramente arriva nelle sale (penso a Appassionate e a Marlene Sousa di Tonino De Bernardi) conoscono bene. Si è formato << dentro >> il mezzo non è un fenomeno velinaro o imposto dai press agent. Tra tutti gli altri fa piacere rivedere Michela Cescon, anche lei guarda caso donna da teatro e poi immensa in << Primo amore >> di Matteo Garrone e di Fausto Russo Alesi, già tra gli interpreti di << In memoria di me >> di Saverio Costanzo.A Cannes << Vincere >> non è stato premiato lasciando un po’di amaro in bocca a Bellocchio. E’il segno di quanti buoni film la rassegna francese sia riuscita a proporre ma allo stesso tempo di quanto possa risultare scomodo- anche per la critica italiana che lo ha bastonato- un regista che non ha mai barattato la propria personalità cercando il compromesso. Può piacere oppure no, ma Bellocchio è inimitabile. E dire che << Vincere >> è un film sbagliato, come ho letto da troppe parti, è non voler rendere omaggio a uno dei pochi autori che ancora ha la forza morale di non optare mai per le strade più semplici.