Pina che sconvolse il teatro

pina-bausch.jpgPer noi che la sera andavamo a teatro senza i telefonini perché non c’erano, che attendevamo quel giorno quasi con trepidazione, Pina Bausch divenne un vento che spazzava. << Cafe Mueller >> arrivò su un piccolo palcoscenico di provincia, a Parma, a Teatro Due. Era il 1981. Bausch era poco conosciuta, non godeva di notorietà da mass media. Nemmeno noi sapevamo con esattezza cosa facesse, quale fosse il suo concetto di teatro. Non l’avevamo mai vista ma solo sentita nominare come si fa quando per il mondo si aggira qualcuno di diverso, qualcuno fuori dagli schemi, qualcuno speciale. Erano gli anni in cui l’avanguardia era stata superata dalla postavanguardia, gli anni dove era necessario rivisitare i classici secondo canoni estetici contemporanei, dove la lotta tra gli affezionati al teatro <<vecchio>> e gli amanti del << nuovo a tutti i costi >> si risolveva dopo gli spettacoli con qualche insulto. Dove Brecht imperava ma a noi aveva già rotto, dove comunque tutto era un esperimento, mettiamo goffo o ingenuo, ma era vitale. Tutto sommato eravamo una bella gioventù, senza << Grandi Fratelli >> alle spalle con la voglia di conoscere e crescere, di migliorarci, di ricevere domande dalle nostre e a volte qualche risposta. Ci interessava l’uomo, il suo mistero. Pina Bausch entrò in scena e da allora il teatro non fu più lo stesso. Perché non si trattava di una danzatrice alle prese con una coreografia. Era qualcosa che univa i generi, distruggendoli e unificandoli. << Cafe Mueller >> era teatro con la T maiuscola, musica con la M maiuscola, danza con la D maiuscola, era un tutto, era un globale, era arte con la A maiuscola. Erano corpi che si muovevano a scatti, quasi epilettici o una figura sottile, pallida, alta e lunga, dal volto tragico, erano sedie che cadevano per terra, erano saltellamenti di ballerine, era disperazione e ricerca di vita. Era concetto che andava oltre all’estetica teatrale. La danza diventava contenuto, si trasformava nelle nostre domande e la tragicità di Bausch si posava sul palco come un nuovo inizio. Forse è per questo che chiunque abbia avuto la fortuna di vedere i suoi spettacoli non è mai riuscito a inserirla in uno schema, in una corrente, in una gabbia critica dalla quale non uscire più. Bausch era Bausch. Da quel giorno del 1981 cambiò il teatro, il modo di fare scena. Bausch è riuscita a sdoganare definitivamente il genere del balletto, facendolo entrare in uno spazio ben più ampio, cosa che non era accaduta né con Bejart né con Twyla Tharp, un’altra musa dell’epoca. Perché dietro di se si portava l’Europa, i concetti dell’espressionismo tedesco imparati agli esordi, la militanza come attrice prima ancora che ballerina negli anni della prima gioventù, la cultura e la conoscenza della storia del teatro. E oggi che se ne è andata dico, da spettatore come milioni d’altri, che la sua perdita è un buco nero, profondo.

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