Nulla di nuovo sotto il cielo di Loach

DISPIACE scriverlo ma non brilla alcuna luce nuova nel cielo di Ken Loach. La Palma d’Oro al festival di Cannes 2016 assegnata a Io, Daniel Blake poco aggiunge alla sterminata cinematografia dell’ottantenne regista inglese. Appare più che altro un riconoscimento a un grande autore che a dispetto dell’anagrafe ha ancora voglia di imbracciare il fucile dell’indignazione e della protesta civile cercando di tramutarle in film. Questo non significa che Io, Daniel Blake sia un’opera brutta o senza qualità. Tutt’altro; solo che un premio così importante ha dell’esagerato. Ad un’analisi oggettiva il film andrebbe archiviato come un prodotto intelligente e interessante ma poco più. La Palma d’Oro dovrebbe rappresentare l’eccellenza, condizione che rispetto a film precedenti dell’autore , Io, Daniel Blake” non raggiunge.Ma Ken Loach ha una schiera di seguaci ampia quanto la propria produzione, perché è maestro dell’indagine sociale, perché ha portato alle estreme conseguenze i dettami del free cinema inglese, perché nel suo percorso ha sempre preferito andare controcorrente, mostrando un’invidiabile coerenza narrativa. Il problema è che Io, Daniel Blake nulla aggiunge a questo viaggio cinematografico. Chiari, infatti, sono il dato di partenza dell’opera, l’ambiente di riferimento nel quale vive la trama, chiare le vittime e i colpevoli fin dalla prima scena. Un assieme troppo schematico che mina il procedimento narrativo e che alla fine non lascia troppo spazio all’intepretazione dello spettatore né fa riflettere più di tanto. La sceneggiatura, dunque, fa acqua e non bastano la drammatica bellezza delle immagini e la direzione impeccabile di Loach per esaltare un film tutto sommato sopravvalutato dalla giuria francese.

Io, Daniel Blake si inserisce in modo perfetto nel discorso che Loach fa da sempre. Questa volta tocca al solito individuo appartentente alla working class confrontarsi con la burocrazia.E di sicuro ci sono mille motivi validi per indignarsi di fronte alla stupidità, all’ottusità dell’apparato che in nome dell’ausilio sociale mette in campo nefandezze e la totale assenza di rispetto per il singolo, affidandosi piuttosto alle demenziali procedure che minano l’individuo, determinando il suo destino. L’uomo nella storia proposta in Io, Daniel Blake poco conta. Il singolo viene a poco a poco soffocato da un sistema che appare specchio per le allodole. Dovrebbe essere stato istituito per aiutare, solidarizzare, invece finisce con il privare ogni diritto e ogni scopo esistenziale. C’erano tutte le carte in tavola per costruire un dramma dell’assurdo-purtroppo reale e palpabile non solo in Inghilterra- ma in Io, Daniel Blake l’eccessiva schematizzazione della storia e relativo svolgimento, finiscono con il regalare un’opera lineare e piatta.

Daniel Blake è un carpentiere in convalescenza dopo aver subìto un attacco cardiaco. La prognosi stilata dai medici che l’hanno in cura è di qualche mese di assenza dal lavoro. Blake quindi è la persona ideale per poter ricevere il sussidio per malattia. Solo che questa possibilità gli viene negata da un solerte funzionario; un professionista della sanità che medico non è e che contro tutti i referti giudica il carpentiere come abile al lavoro. Da qui nasce l’odissea di Blake: per la perversione che prende gli uomini che hanno stabilito le procedure non può richiedere il sussidio di disoccupazione se prima non gli sarà ufficialmente comunicato via telefono l’esito negativo del colloquio sulla sua condizione di malato. E allo stesso tempo non potrà fare ricorso a quella decisione, sempre per via della telefonata mancante nonostante abbia ricevuto una lettera ufficiale. Blake si trova in una situazione kafkiana: per le normative dell’assistenza sociale inglese è un malato senza sussidio e un disoccupato al quale viene negato il diritto perché potenzialmente ha ancora in ballo un ricorso circa la prima decisione. In questa discesa progressiva verso l’inferno il protagonista, alla soglia dei sessantanni, dovrà confrontarsi non solo contro l’ottusità e il menefreghismo, la strafottenza e l’arroganza ma con un mondo che è differente da quello in cui lui ha vissuto. Un universo sconosciuto, dove l’uso di un computer si trasforma in una montagna da scalare per chi non conosce le tastiere e la telematica. Il tutto con lo spettro del non guadagno, dell’annullamento civile, contro il quale nemmeno la solidarietà di classe può molto.

Ci sarebbe quindi da indignarsi, da sprofondare assieme all’eroe di Loach nel gorgo della disperazione, nella voglia di urlare, di sovvertire un destino già segnato. Invece questo non accade. Il problema di Io, Daniel Blake è proprio nella sua costruzione. Già all’inizio si comprende come andrà a finire la storia e anche le divagazioni costruite ad arte per far reggere l’impalcatura poco aiutano a spezzare la linea retta e piatta di racconto. Non aiutano i personaggi di contorno né la disperata condivisione di due condizioni estreme con una ragazza madre, vittima essa stessa della brutalità dei burocrati e delle regole. Il problema è che Loach divide il mondo in bianco e nero. Chi ha ragione e chi ha torto. Non prevede una zona intermedia e soprattutto segue il dramma del suo eroe sconfitto più da un punto di vista pubblico, politico. Non riesce a essere efficace e a volte eccede nel rimarcare privazioni che nel film stesso, come nel caso della donna che rinuncia a mangiare per poter sfamare i figli, erano già state descritte con maggior raffinatezza. C’è poi un doppio finale inutile; non è necessario affidarsi a discorsi programmatici per sottolineare il rispetto dovuto a ogni singolo essere umano dalla macchina statale quando tutto Io, Daniel Blake si basa su questo. Lo spettatore non è così stupido o impreparato. Lo ha già capito. Per questa ragione il vincitore della Palma d’Oro rischia di trasformarsi in un manifesto. Di gran maestria e classe nella direzione degli attori, nelle interpretazioni, nella perfetta ricostruzione dell’ambiente sociale che Loach conosce come nessun altro. Purtroppo è poco per una Palma e per definire Io, Daniel Blake un grande film.

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