Non azzanna il giocatore di Scorsese

Il lupo di

OGNI TANTO anche i grandi cadono. Sia chiaro << The Wolf of Wall Street >> resta un film da vedere e da godere ma non c’è da stupirsi se chi è abituato a Martin Scorsese esca dalla proiezione sottilmente perplesso. Sarà per lunghezza eccessiva, 179 minuti, sarà per la ripetitività di molte scene ma dal regista italoamericano era lecito attendersi di meglio. Perché il problema risiede proprio nella mancanza di cambiamento di ritmo della sceneggiatura. Il passo è sempre quello dall’inizio alla fine ed è un guaio contro il quale nemmeno le battute a raffica, le situazioni assurde e al limite del ridicolo possono lottare. La battaglia è perduta e a salvarsi, alla fine, sono gli splendidi attori con in testa il sempre più sconvolgente, in senso positivo, Leo Di Caprio, qui in versione trasformista come all’epoca di << Buon compleanno Mr.Grape >>. Per il resto di Scorsese troviamo la splendida messa in scena, il gusto del particolare, l’invenzione e la descrizione dell’eccesso, la capacità di non esprimere a priori giudizi morali, lasciando al cinema e all’evoluzione della storia le considerazioni psicologiche. Purtroppo anche in quella che avrebbe potuto essere materia interessante con il dualismo tra il personaggio di Jordan Belfort, il broker che rifila spazzatura, e quello dell’agente federale che vuole incastrarlo, guarda caso uno che non era stato ammesso a svolgere la stessa professione. Invece Scorsese si limita all’accenno, preferendo focalizzare il tutto sul proprio protagonista.

CHI È PER SCORSESE Jordan Belfort? Un simbolo, soprattutto. Uno stereotipo. Un uomo che nella vita ha un sogno da inseguire: fare i soldi. Non importa se a danno degli incauti. Un geniale malfattore, simpatico e truffaldino, a suo modo generoso perché permette di guadagnare un sacco di milioni di dollari a tutti quelli che lo appoggiano nell’impresa. È un guru: un comunicatore, uno che procede per slogan, che li inventa, che attraverso il linguaggio riesce a darsi credibilità e a vendere. È l’uomo americano di fine secolo, la versione presentabile e << per bene >> del Patrick Bateman << American Psyco >> che ha lasciato alle spalle le psicosi, le introspezioni, la disperazione e la dicotomia. Fa soldi a palate, centinaia di milioni di dollari, è coinvolgente, bello, avido di sesso, cocaina, droghe di tutti i tipi, narcisismo, esibizioni. Senza pentimento, senza momenti bui. Belfort è fondamentalmente un giocatore. Cammina in equilibrio precario su una corda dalla quale può crollare in ogni momento, sapendo in cuor suo che non sarà mai definitivamente sconfitto. Forse è per questo che Scorsese non pretende il giudizio morale. Resta anzi invischiato, quasi ammaliato pure lui dal proprio protagonista. E così si diverte, portando tutti quanti nella dimensione esistenziale dove alla fine sembra normale, attraverso appunto la ripetitività degli eccessi, comportarsi così, vivere con ciò che gli esclusi dal mondo di Wall Street dell’epoca pensano di Wall Street stesso. Non c’è l’indagine né qualcosa di nuovo, di differente da ciò che è stato già scritto, girato, visionato. È il grande limite del film più descrittivo che introspettivo.

HO ACCENNATO in precedenza alla figura dell’agente Denham, interpretato da Kyle Chandler, che si mette alle calcagna di Belfort: una presenza che aleggia pur senza mostrarsi troppo nel film. Scorsese ha una splendida intuizione nel farlo dipingere dallo stesso Belfort come uno che avrebbe voluto diventare broker non riuscendo nell’intento. Però questa folgorazione si blocca subito, viene soltanto ripresa nel prefinale, in una scena brevissima quanto intensa all’interno di un umile vagone della metropolitana, quando Chandler, portato a compimento il proprio lavoro, osserva un paio di persone che stanno di fronte a lui. In quei pochi frame risalta forte il dubbio di una invidiosa ammirazione dell’agente nei confronti di chi è stato braccato e assicurato alla giustizia che in ogni caso ha accarezzato, conquistato, preso tutto ciò che la gente desidera possedere. Invece Scorsese accenna, fa intuire, preferisce fare commedia degli eccessi ma non incide con il bisturi come altre volte – direi sempre – ha fatto, forse per timore di non voler ammettere di << amare >> troppo il personaggio principale. Uno che comunque – è storia – avrà la capacità di rialzarsi e di riprendere il proprio gioco, quasi Scorsese voglia dirci che è nell’animo degli Usa attribuire al denaro l’unica valenza fondante dell’esistenza.

SEMBRANO quindi lontani i tempi del sogno allucinato di << The Aviator >>, dove la figura di Howard Hughes si muoveva avida di ideali, di sogni faraonici, di passioni sfrenate che andavano oltre le donne e il puro piacere del denaro. Qui resta solo l’impressione che Scorsese abbia messo in scena il de profundis di un’intera umanità alla quale nulla resta se non la sete di denaro in quanto denaro, di cui il successivo possesso non è altro che una logica conseguenza. Belfort e i suoi amici non hanno altro a cui appoggiarsi. Vivono l’assenza di ideali, di introspezione, con …drammatica serenità. Giocano e sanno di essere in ogni caso il punto di riferimento di tanti. Così si fa strada il sospetto che il regista abbia girato di proposito un film << superficiale >> che ha tra le pecche, come già scritto, l’eccessiva ripetitività di troppe situazioni. Ma è chiaro che alcune di queste non si dimenticheranno facilmente. Merito di Di Caprio, ancora una volta attore insuperabile e al quale nulla si può imputare se non essere immenso. I cambiamenti di volto, di umore, capacità di usare registri sempre differenti in << The wolf of Wall Street >> sono centinaia e ognuno meriterebbe una piccola descrizione. E poi c’è la bella interpretazione di Jonah Hill, il primo fuori di testa che segue Belfort nei propri progetti, e quelle di tutto il cast, dove trovano spazio i registi Rob Reiner e Spike Jonze, la sensuale ex sitcom Pan Am Margot Robbie, Jean Dujardin, con il suo volto da simpatica canaglia, il già citato Kyle Chandler e un incredibile Matthew McConaughey: la sua è una parte breve ed iniziale ma basta e avanza per tramandarla. È ciò che diventerà Belfort, è ciò che ci dirà il film: non c’è più una vita da sognare, ma solo una vita con cui giocare.

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