Il destino di Tullio Avoledo è nel raccontare storie. Il nostro nel leggerlo come se fossimo lì, assieme a lui ad ascoltarlo, a farci accompagnare lungo i suoi percorsi e intinerari mentali, ad affiancarlo nelle peripezie dei suoi personaggi, in un mondo dove la disillusione e il senso di colpa gravano su tutto e dove l’unico dono che si può ricevere è la visione di << un’altra possibilità di vita>>. Ma appunto di visione si tratta non di realtà. C’è molta amarezza nell’ultimo, bellissimo, romanzo dello scrittore friulano, << La ragazza di Vajont >>, molta sofferenza che trasuda dalle trecentodue pagine del libro da poco uscito per Einaudi. Un testo che segue con una coerenza magistrale il suo percorso di autore ma che su questo apporta novità, non regredisce, ma si evolve, abbracciando stili diversi e una storia all’apparenza più intrigata delle precedenti. Non tanto per la trama quanto per tre diversi piani narrativi che potrebbero benissimo vivere di luce propria, essere staccati l’uno dall’altro e che unendosi formano un libro che ha un tocco magico.Si capisce quanto Avoledo sia un uomo dalla cultura trasversale, moderno, ben ancorato al tempo che ha vissuto e vive. Anche ne << La ragazza di Vajont >> non rinuncia alla citazione dei suoi amati musicisti, ai rimandi cinematografici, letterari che compone in armonia, questa volta come se si trattasse di una partitura. Il libro non è semplice: molto lineare nel linguaggio, molto spontaneo e istintivo, è nella costruzione che ha una sua complessità. Leggendolo ogni tanto mi tornava in mente Paul Auster, mi veniva quasi istintivo paragonare << La ragazza di Vajont >> a << Viaggi nello scriptorium>> e sorridevo perché Avoledo è riuscito a creare un grandissimo romanzo proprio sullo stesso terreno dove Auster, l’anno passato, aveva fallito e, aggiungo, anche di brutto. << La ragazza di Vajont >> è una storia d’amore. Ma è anche la storia di un uomo che ha cercato disperatamente di riporre le cose brutte della vita in un enorme scatolone mentale dal quale queste continuano a sgorgare e a riproporsi. Ed è anche la storia di chi ha sfiorato la morte e che faticosamente si sta riprendendo da un infarto. << La ragazza di Vajont >> è il mondo come potrebbe essere, è la storia ribaltata alla Philip Dick ma senza la spocchia intellettuale e lobbistica della new generation italianarrativa. Non esiste in Avoledo la superbia di voler leggere politicamente il mondo. Il suo è l’occhio privato che indaga nelle nefandezze, dove il Friuli diventa un paesaggio innevato, desolato, contenitore e specchio dell’anima e dei turbamenti nei quali si dibatte il suo protagonista senza nome. Certo ci sono i capelli biondi e le lunghe gambe sottili, gli occhi azzurri di una diciannovenne che offrono un barlume di speranza. Il protagonista le offre una << possibilità>> di vita. Come fanno gli scrittori con i loro personaggi. E’forse questo che affascina ne << La ragazza di Vajont >>, nella capacità, rara, di Avoledo di dirci che si tratta solo di una storia ma di farci credere altro in un romanzo che ha tutta l’aria di diventare uno spartiacque tra ciò che Avoledo ha scritto e ciò che scriverà domani.