Una premessa: non ho mai letto Jean Marie Gustave Le Clézio. Sono ignorante a tal punto che quando ieri gli è stato conferito il Nobel per la letteratura mi sono domandato: e questo da dove salta fuori? Se mi avessere detto di piripicchio sarebbe stato uguale. Proprio non ne conoscevo nemmeno l’esistenza. E dire che sono un buon lettore, anche aggiornato. Le pagine letterarie sono le prime che leggo sui quotidiani mentre sorseggio il caffé. Libri importanti e non affollano casa, alcuni bisognerebbe impachettarli, spedirli a qualche parente con un assegno perché li conservi. Casa mia sta implodendo di libri, quasi tutti letti. Ma Le Clèzio, a parte un’intervista letta da qualche parte che avevo lasciato nel dimenticatoio, non so nemmeno chi sia. Leggo pareri contrastanti a proposito della sua opera: chi sostiene essere un Nobel mediocre, chi un Nobel d’avanguardia. Io non sostengo nulla (capperi non so chi sia, non mi permetterei mai giudizi e lo leggerò con interesse) ma faccio una semplice considerazione contenente una domanda: con quale criterio vengono scelti i Nobel per la letteratura? Si deve premiare l’eccellenza assoluta, il percorso sperimentale, lo stile, la lingua, il contenuto, la forza anche << notoria >> di poter influenzare i mercati più vasti – i libri sono preziosi ma come i gioielli si devono anche vendere e devono offrire reddito- oppure si premia così, l’outsider di turno? Ormai non ci capisco più niente. Qualche anno fa, 2004, il premio venne dato alla Jelinek: ero uno dei pochi, da lettore comune sia chiaro, nella cerchia di mie conoscenze ad averla letta, trovandola una copia sbiadita, una versione clonata in peggio di Thomas Bernhard. Poi è arrivato Harold Pinter e il livello, scusate, si è alzato anche se Pinter sarà ricordato più per le opere teatrali che per quelle narrative. Nel 2006 è stata la volta di Pamuck, un grande ma ce ne sono altri, almeno per i miei gusti. Nel 2007 altra donna: Doris Lessing. Scrittrice importante, basilare per la letteratura femminile. Ma da Nobel? Oggi scopro Le Clèzio e rammento un attacco, a parer mio infondato, sulla narrativa degli scrittori statunitensi rivolto qualche mese fa da un membro della giuria del Nobel. Accusati senza mezzi termini di essere << chiusi come un’isola e cedono alla pressione della cultura di massa nei loro lavori >>. Bene. Scopro, oltre a Le Clézo, che Roth è chiuso, DeLillo è un’isola, McCarthy cede. Certo li leggono in molti e forse, ma ai giurati del Nobel non interessa, hanno insegnato al mondo come si fa un romanzo moderno. Roth, soprattutto, perfetto tramite tra il vecchio e il nuovo, ponte necessario nella biblioteca di ogni lettore che si rispetti. Al poveretto che legge e investe euro in libri non resta quindi che sentirsi ancora più ignorante e un poco stupido. A proposito: da questo blog avevo lanciato la mia candidatura personale: James Graham Ballard. E’persino inglese. E’strano – quindi ha già qualcosa da Nobel nel dna- , è coerente, ha letto e capito il mondo di oggi prima di chiunque altro, ha innovato. Ma è chiaro: la letteratura, per i giurati, è un’altra cosa. Sono felice che nel 1969 Samuel Beckett, al quale in un lampo di improvvisa lucidità e onestà intellettuale venne assegnato il premio, non si fosse presentato a ritirare quanto gli spettava. Perché la morale è una sola: i Nobel passano, i grandi autori, anche senza Nobel, restano. I premi, e gli ultimi assegnati in Italia lo dimostrano, contano zero. Torno a leggere la mia carta straccia. Parecchio profumata, però.