Fargo e il mistero degli hazard

fargo9.jpgOgni tanto serve rivedere i << vecchi >> film per comprendere meglio i nuovi. Della variegata, numerosa, interessante cinematografia dei fratelli Cohen << Fargo >> ne rappresenta, credo senza tema di smentite con il mai troppo citato << L’uomo che non c’era >>, l’apice. I critici se ne accorsero subito, fin dalla prima proiezione al festival di Cannes del 1996. Il decano, termine rispettoso e non legato all’età dello studioso, e il più competente degli specialisti italiani, Tullio Kezich, concluse la sua recensione scrivendo, testuale, << Vorrei concludere, profetizzando: è un film che resterà >>. Era il 15 maggio del 1996 e da allora << Fargo >> oltre ad avere vinto numerosi premi internazionali è rimasto per davvero nella storia del cinema degli ultimi trentanni per tanti motivi. Non si può quindi giudicare un film dei Cohen senza essere passati da questo ed è utile riguardarlo come è accaduto a me all’indomani del riuscito e positivo << Burn after reading, intelligence is relative>>. Perché l’ultimo rimanda direttamente a quello del 1996, così come in << Non è un paese per vecchi >> si potevano scorgere alcuni spunti dell’ancora più vecchio << Blood Simple >>.<< Fargo >> è la messa in scena della commedia umana senza apparente partecipazione dei due fratelli. E’un film freddo e gelido come le bianche distese di neve e ghiaccio del Minnesota, di Minneapolis, di Brainard e del Nord Dakota e della piccola cittadina di Fargo. All’interno di questi spazi sconfinati, dove gli uomini sono punticini ripresi dall’alto, isolati da un contenitore quasi infinito, appunto nulla nel nulla, l’esistenza di ognuno è dominata dal no sense. Si uccide, si lavora, si indaga con apparente incoscienza, senza sapere bene cosa si stia facendo nella realtà. Il personaggio di Frances McDormand, l’investigatrice di provincia senza particolare intelligenza, sempliciotta e sempre alla ricerca di cibo, giunge a risolvere il caso degli efferati delitti seguendo una linearità, una piattezza di riflessione, sparando sentenze elementari. E’inconsapevole essa stessa come sono inconsapevoli i meravigliosi Steve Buscemi e Peter Stormare, i due balordi incompetenti che si macchieranno di una violenza gratuita e omicida. In << Fargo >> la riflessione sulla stupidità del mondo giunge all’ironia attraverso le azioni dei protagonisti. Manca l’aspetto farsesco di partenza di << Burn after reading, intelligence is relative >>, esiste più la ricerca della decodifica del genere, dell’assurdo drammatico, beckettiano per intenderci, che quello della commedia brillante, quale << Burn after….>> è. << Fargo >> è una tragedia dipinta con i colori della neve nella quale ci muoviamo. Ci sono alcune immagini ricorrenti in questo film che forse sfuggono alla prima visione: il cicalino delle cinture di sicurezza che trilla ritmicamente ogni qual volta i protagonisti scendono dalle loro automobili e s’immergono nel deserto bianco dei Cohen. E’un rumore che accompagna ogni esterno: un din din din continuato, un segnale di allarme in sottofondo. Per chi? Non per gli attori che recitano, forse i Cohen vogliono avvertire proprio come un hazard gli spettatori: attenzione i nostri protagonisti ora commetteranno una sciocchezza. Slegati dal loro guscio protettivo si muoveranno nel mondo da stupidi. Così Steve Buscemi seppellisce la borsa con quasi un milione di dollari nella neve, senza scavare. Così lo strepitoso Williams Macy alla fine è il meno mostro tra i mostri, il più umano di tutti, è l’unico che in qualche modo nella sua devianza mentale ha un comportamento coerente con la sua disperata dabbenaggine, è quello che non viene quasi mai accompagnato dal cicalino, raramente viene visto all’esterno della concessionaria o fuori dalla sua automobile. Bellissime poi le immagini della bulimia di Frances McDormand e del marito: porzioni esagerate di cibo, accanto alle quali fanno capolino lombrichi per pescare, o di fronte un documentario sulla riproduzione dei coleotteri. Perché McDormand è un(a) Forrest Gump che si muove tra le schifezze dell’esistenza senza curarsene troppo, senza conoscenza, accettandola come fatto normale. Come se i Cohen abbiano voluto dirci in anticipo sul tempo che stiamo vivendo che solo gli stupidi hanno il genio per comprendere altri stupidi.

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