Presentato nella Settimana della Critica e non in gara nel concorso per i Leoni, << Pranzo di ferragosto >> scritto, diretto e interpretato da Gianni Di Gregorio, sceneggiatore tra gli altri di Matteo Garrone, qui in veste di produttore, sta a poco a poco scalando le classifiche dei film più visti. Non è un caso, perché il prodotto è fresco, valido, piacevole. Forte dell’esperienza di scrittura, Di Gregorio tratta di un argomento scomodo e ben poco spettacolare: la solitudine degli anziani, la loro esistenza abitudinaria, l’attesa svogliata e rassegnata dell’indomani, il ricordo di quando si era giovani. Ma non è il solo motivo conduttore del film: c’è anche il rapporto genitori-figli, c’è anche al centro la figura di Gianni che vive in funzione della madre.Non ci dice il regista se per scelta di comodo o per i casi della vita. Gianni è un uomo che ha superato i cinquanta: è solo, non ha una donna, è senza lavoro, ha un solo amico, il << Vichingo >>,con il quale discorre nelle giornate estive seduto di fianco a un’enoteca di Trastevere. Non ha un euro in tasca, va a credito a fare la spesa, a bersi i suoi bicchieri o bottiglie di vino bianco, rigorosamente pregiato Ribolla o Chablis, cucina in maniera divina, è l’autentica anima della casa in decadenza nella quale vive con la madre. In apparenza sembra che gli stia bene così, che è questa la vita che ha scelto. La realtà, Di Gregorio sparge indizi qua e là attraverso i suoi tic e la sua recitazione, è diversa: quando per puro interesse economico, saldare qualche debito con il condominio o non pagare le visite mediche a domicilio, il caso gli porterà altre tre donne anziane a trascorrere il ferragosto a casa sua, Gianni diventerà un figlio migliore e forse un uomo più consapevole di sé stesso. Il film è molto breve, una piccola chicca che scorre veloce scandita da battute sapienti, mai gratuite, con una leggerezza e una freschezza che coinvolgono ben presto lo spettatore. Detro al tocco leggero ci sono i drammi degli anziani, di una vita retroproiettata con il terzo occhio nel passato, c’è la ricerca delle gioie fugaci, di un pranzo in compagnia, di un programma televisivo da condividere, di un’analisi del carattere attraverso la lettura delle mani, di una fuga notturna al bar sotto casa per bersi da soli una birra, fumare una sigaretta e sentirsi una volta tanto liberi, lontano dalle imposizioni dei figli, dalle medicine da assumere prima e dopo i pasti. C’è l’illusione della vita, di un valore per il quale vale ancora la pena di ballare tutti assieme mentre scorrono i titoli di coda del film. E assieme alle quattro vecchiette danza anche Gianni offrendoci un’altra domanda, scomoda, insinuante ma posta anch’essa con il tocco raffinato, vellutato dell’autore: fa parte ormai di << loro >>, ha quindi superato l’argine e si avvia nell’epoca dei consuntivi perché non gli resta null’altro oppure ripartirà da qui più forte di prima? << Pranzo di ferragosto >> è un grande film, realizzato con appena 500.000 euro di budget, girato in una Trastevere reale e lontana anni luce dalla cartolina illustrata. Avendo abitato a Roma ho ritrovato quell’odore misto di spazzatura, di aria ammuffita, di ironica decadenza che solo laggiù e in quel quartiere si può respirare. Strepitosa infine la recitazione degli attori non professionisti reclutati tra gli amici e nei ricoveri per anziani. A Bologna, di giovedì, sala piena in ogni ordine di posti, pubblico molto soddisfatto: non è una questione di rinascita del cinema italiano. Ma solo di un ottimo film e di spettatori che stanno crescendo e distinguere la qualità dal resto.