Italia de profundis

italia-de-profundis.jpg<< Italia de profundis >> dormiva da primavera nello studio. Ne osservavo la copertina azzeccatissima e curata, spesso sfogliavo qualche pagina per capire quando avrei dovuto leggerlo, se in un periodo di profonda depressione o di gioiosa letizia- ma quando mai mi capita?-, se nel silenzio di casa o addirittura sotto l’ombrellone in vacanza. Sapevo, avvertivo con l’istinto, che lo avrei fatto mio perchè quando ci si trova di fronte a Giuseppe Genna non si può restare indifferenti: o lo si approva in toto o lo si rifiuta. In ogni caso con Genna il pericolo dell’omologazione è scongiurato. Lui è uno dei rari scrittori italiani che è riconoscibile persino nei punti e nelle virgole, nel suo sapere essere eccessivo, nel chiosare le sue stesse riflessioni, nel dire bianco e poi trovare che il suo bianco ha sfumature e può ribaltarsi nel proprio opposto per tornare al punto di partenza. Genna è il talento allo stato puro che impiegherebbe mezz’ora a scrivere un best seller da centinaia di migliaia di copie ma non lo fa, almeno fino a ieri oggi chissà, preferendo proseguire su una linea coerente ma sempre diversa, sperimentando tutti i modi possibili e immaginabili per diventare il magnifico outsider da riconoscere come grandissimo nel domani più che nell’oggi. Genna non vincerà mai un premio Strega, nemmeno un Campiello, probabilmente niente di niente, perché è troppo bravo, troppo colto, troppo intelligente. Come se volesse consegnarsi ai posteri, inseguendo un ideale romantico e nichilista, come se intuisse che il suo ruolo è quello di avere l’assoluta libertà di scrivere ciò che vuole e come vuole, il che nell’Italia << apice planetario della noia>> è un peccato mortale, da vade retro Satana. Per questo Genna sta cordialmente sulle palle alla maggioranza, per questo Genna mi piace. <<Italia de profundis >> non è un romanzo, è una composizione, una partitura, una lezione. E’ Genna che gioca con Genna, che spiega Genna che finge di essere Genna. E’ Genna che piange con Genna. Genna è lo << stalker >> di Tarkovskji che ci porta con il suo treno sferragliante nella vacuità italiana. E’un grido di disperazione e soprattutto di amore assoluto, di nausea travestita da non trama dove tutto fila, dove l’apparente caos di spunti, idee, riflessioni, azioni è figlio di una mente organizzativa maniacale, di un solipsismo necessario nell’atto della creazione testuale.Le due parti di << Italia de profundis >> , narrazione e racconto, sono in realtà divise in undici capitoli che potrebbero essere loro stessi libri fatti e chiusi se non fosse che il rimando al prima e al dopo c’è e l’uno trova la propria completezza nell’altro. Il realismo crudo e l’assurdo vanno a braccetto, nelle << Reazioni convulse all’amorosa mancanza: quattro storie di merda che non ricordo più >> si raggiungono livelli dove l’ornirico è la chiave per addentrarsi con ironia e lucidità quasi radicale nelle quotidiane mostruosità dell’inconscio umano ( dall’esperienza dell’eroina all’orgia con le drag queen) , in << Passaggio a Venezia >> c’è uno spaccato delizioso sul mondo del cinema e una incredibile (non mi viene altro termine) critica – non recensione – su << Inland Empire >> di Lynch con relativa e forse ingenerosa stroncatura dei vari …recensori per i lettori di quotidiani e non di libri, oltre a un magico incontro con l’uomo del Montana.Lo stile di Genna muta in continuazione, quasi fosse lì con un pennello al posto del lapis o della tastiera, si ritrae per far spazio a un diverso tipo di impostazione – geniale il riquadro che avverte il lettore che da pg 73 a pg 91 tutto diventa noioso e ci ritroviamo in pieno esercizio dove lo stile dà una forza estrema al contenuto- che poi a volte tornerà nella parte finale. E’una coloritura continua non fine a sé stessa, non messa lì per far comprendere al lettore quanto l’autore sia fico anche se di sicuro con il proprio mestiere Genna può permettersi rimbalzi e canestri, fuoricampo, reti e qualche << piacioneria >> di troppo gli si può perdonare. No è funzionale a un libro che credo non si possa cestinare facilmente. Dove lo stupefacente Genna ci regala la propria umanità, il proprio io travestito, ci dona la parvenza di Genna spacciandola come realtà. Come solo i grandi scrittori sanno fare. Leggerlo arricchisce. So che qualcuno non è d’accordo. Ma è giusto così. Non sarebbe Genna. E qui mi fermo. Stop.

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