Il successo di Stoner? È il nostro specchio

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HA RAGIONE lo scrittore inglese Julian Barnes a definire su un << vecchio >> numero del Corriere della Sera (pagina culturale del 19 dicembre 2013 ) << Stoner >> come miglior libro dell’anno appena trascorso. Anche se pubblicato da Fazi Editore– che non ringrazierò mai abbastanza per aver portato in Italia i testi di Guillermo Arriaga- nel 2012 è stato appunto nel 2013 che il romanzo di John Williams ha incontrato il successo. È stato un lungo, costante, passaparola tra i lettori, i recensori, a farlo uscire da quell’anonimato nel quale era imprigionato dal 1965, quando lo scrittore americano lo diede alle stampe senza incontrare alcuna fortuna né critica né tantomeno commerciale, come spesso accade alle opere di grande personalità. In genere mi avvicino con scetticismo alle riscoperte improvvise: va molto di moda, soprattutto in campo artistico, identificare nella sfortuna commerciale il nido della genialità bandita dai crudeli censori. Il caso << Stoner >>è l’eccezione che conferma la regola: come accadde tempo fa con << La versione di Barney >> di Mordecai Richler anche qui si è in presenza di un fenomeno in cui il marketing editoriale e lobbistico una volta tanto mantiene ciò che promette. Non amo le classifiche e le catalogazioni ma ammetto che negli ultimi tempi mi è accaduto molto di rado di restare colpito, ammaliato, affascinato, coinvolto leggendo qualcosa. È successo con << Canada >> di Richard Ford– http://guido.sgwebitaly.it/?p=441- o con libri importanti che mi erano sfuggiti in passato, << Hotel New Hampshire >> di John Irving, per dire di alcune delle letture del 2013. << Stoner >>, proprio perché l’avvicinamento è stato di totale scetticismo, mi ha lasciato un sapore dentro che non mi abbandona nemmeno dopo numerose assunzioni di collutorio.
PER QUESTO voglio consigliarlo a chi ancora non lo ha letto. William Stoner è un uomo qualunque. Uno come noi. Non è un eroe, non lo sarà mai. È tremendamente umano e degli uomini si porta appresso tutti i difetti: fisici, mentali, comportamentali.È persino anonimo, non combina guai, è tranquillo, molto colto, osserva, ha una vita piena di limiti. Subisce soprusi, paga fino all’estremo scelte sbagliate, soprattutto quella di seguire la propria etica, i propri sentimenti, i propri valori. Si specchia in un’America di provincia attraversando le due guerre mondiali, ma mai come attore protagonista, restando sempre nello stesso posto, le aule della Università nella quale insegna. È figlio di contadini, ha lavorato la terra, all’ateneo è arrivato molto casualmente per seguire i corsi di agraria e poi scoprire la bellezza della letteratura e dei libri, virando quindi indirizzo e tradendo i sogni dei genitori. John Williams compone un romanzo strepitoso senza che accada nulla di differente in William Stoner rispetto alle esistenze reali. Ma solo nel ritratto esteriore, perché la grandiosità del suo romanzo è nello scavo, nel ritratto psicologico del protagonista, nella struttura stessa del testo. Chi legge non si immerge. Viene assorbito come se John Williams possedesse un’enorme calamita dalla quale staccarsi diventa impossibile. Credo che William Stoner sia davvero noi, sia il nostro ritratto, sia l’esaltazione delle speranze tradite, dei fallimenti ma anche di una visione molto acuta, fredda, pragmatica della vita. Stoner è un uomo che si vede, è il terzo occhio che non si molla mai, è la forza dell’intelligenza. Il romanzo di Williams è tristissimo ma procura gioia. Non fa mai sorridere eppure fa stare bene. È il segreto della scrittura, della capacità di non produrre mai una riga banale o da saltare, di cambiare sempre restando solo in apparenza uguale dalla prima all’ultima pagina. C’è lo Stoner che immagina la morte, riuscendo persino a uscire dal proprio corpo -vedasi parole d’altri di questo blog- c’è lo Stoner che vive il dramma di un matrimonio infelice come milioni di altri, di una figlia rovinata in partenza, di una carriera che non è quella che avrebbe potuto essere. C’è lo Stoner innamorato di un’impossibilità e lo Stoner che accetta la propria fine ma mai da vinto. C’è lo Stoner vessato dagli ambiziosi, lo Stoner che vive l’ingiustizia andando comunque avanti, c’è lo Stoner che ci riporta alla magia di Shakespeare e del latino, della poesia, del profumo di carta, del silenzio, delle luci fioche dell’inverno e di quelle luminose dell’estate.
JOHN WILLIAMS creò tutto questo nel 1965. Lo fece con la semplicità e la raffinatezza del grande scrittore. Ci sussurra una vita. Nel suo articolo sul Corriere della Sera Julian Barnes– scrittore che non amo più di tanto ma la cui analisi approvo in toto- si domanda i motivi del successo del libro in Europa e la sua relativa notorietà negli Stati Uniti, nonostante la sponsorizzazione di Bret Easton Ellis e soprattutto di Peter Cameron, la cui postfazione interessante è tutta da gustare nell’edizione presentata in Italia da Fazi Editore con la traduzione di Stefano Tummolini.<< …È anche – scrive Barnesun vero romanzo per lettori, nel senso che la sua narrativa rinforza il valore della lettura e dello studio. Molti ripenseranno alle proprie folgorazioni letterarie, a quei momenti in cui la magia della letteratura cominciò ad avere un vago senso, alla prima volta in cui si propose loro come modo migliore di capire la vita >>. Già la vita: quella di Stoner è lo specchio della nostra, perché ognuno di noi ci si ritrova. Non importa se in minima o in massima parte. Il suo successo sta tutto qui. È il segreto dei grandi libri, quelli che non mentono. Per gente come noi che agli eroi mai ha creduto.Nemmeno ai derelitti di facciata.

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