Il Giorno dell’Incontro: stereotipi e buonismo minano l’esordio alla regia di Jack Huston

Storia di redenzione in una spettrale New York

Jack Huston, nipote dell’immenso John, per il suo debutto nella regia ha scelto un tema ormai trito e ritrito: la storia di un pugile che deve redimersi, rimediare agli errori del passato, il tutto concentrato nelle ore che precedono il suo ritorno sul ring. Il Giorno dell’Incontro, nell’originale Day of the Fight, si riassume in queste poche parole. Non che sia un film brutto. Anzi, sul fronte estetico la fotografia in bianco nero di Peter Simonite crea qualcosa di delizioso con New York che diventa scena vera e propria a tal punto da poter sembrare qualsiasi metropoli o città americana(l’avevo scambiata per Baltimora di The Wire) in stato di dissoluzione, con i disperati che vagano per le strade, le architetture minacciose, gli edifici fatiscenti e, per contrasto, un’umanità disposta ad ascoltare, perdonare, parlare. New York come raramente si è vista al cinema negli ultimi anni, ossimoro di essa stessa, freddissima e caldissima. Ma oltre a questo de Il Giorno dell’Incontro resta ben poco, perché Huston preferisce andare sul sicuro

Un cocktail di cose già viste

Il regista infatti prende a nolo tutti gli stererotipi e gli stilemi mostrati nelle opere sul pugilato dalle….origini all’oggi. Mischia Il Grande Campione del 1949 con una fettina di Lassù qualcuno mi ama del 1956, l’aggiunta di un goccio di Toro Scatenato del 1980 e una solida base di ogni film di redenzione morale e non sociale che si rispetti. Il risultato è una commedia che emoziona in poche scene e che procede dall’ inizio alla fine su un binario unico. Il protagonista è buono, le persone che incontra sono buone, i cattivi non esistono per la gioia di chi crede alle favole. Ottimo per il box office e gli incassi, per chi vuole trascorrere quasi due orette senza porsi troppe domande. Di più, molto onestamente, non c’è.

Michael Pitt, santo pugilatore

Michael Pitt, il pugile Mikey, è afflitto dai sensi di colpa. Era stato un grande campione ma la sua carriera si è interrotta all’apice del successo per un fatto che ha mandato a carte quarantotto tutto ciò che aveva costruito nella vita:affetti, soldi, reputazione. Il passato di sconfitta esistenziale lo distrugge. Per scacciarlo e ritrovare la dignità che a lui sembra perduta ha bisogno di tornare sul ring per un ultimo incontro, sia per assicurare alla propria famiglia la sopravvivenza economica, sia per ringraziare materialmente tutti coloro che gli sono stati vicini. Così nel tragitto che da casa lo porterà al Madison Square Garden incontra vari personaggi, un amico di famiglia, un allibratore, un prete, la ex moglie, il suo allenatore, suo padre rinchiuso in un ospizio con i quali si confida e ai quali dona sempre qualcosa. Come se fosse un testamento e già lo spettatore ha ben impresso cosa ne sarà del bel muscoloso e tumefatto Pitt che con il trucco pare Paul Newman, appunto, in Lassù qualcuno mi ama.

Troppo lineare e senza pathos

Il Giorno dell’Incontro è tutto qui. Un film che scorre come gli incontri di Pitt con la sua cerchia di amici e parenti, ogni tanto inframezzati dai ricordi d’infanzia, dagli incubi che gli hanno devastato la vita. Il problema è che il film è lineare e scontato, non c’è mai un elemento sorprendente e a reggerlo sono soprattutto le prove degli attori, da un ottimo Steve Buscemi, in una scena iniziale, a un grande Joe Pesci, il cui volto di padre è una delle cose migliori dell’opera di Huston fino alla convincente Nicolette Robinson. Quanto a Michael Pitt fa il suo rendendo, con misura, credibile il personaggio del protagonista, senza mai forzare troppo la propria interpretazione. L’auspicio è che Jack Huston-compare di Pitt e Buscemi in Boardwalk Empire-dopo la forma e il gusto musicale-ottima è infatti la colonna sonora- trovi anche il contenuto nel suo prossimo film. La mano volgarmente detta del regista c’è; vorremmo anche quella dell’autore che qui manca.

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