Spassoso, surreale e profondo il Locus Solus di Benchetrit si trasforma in un grande film

IL CONDOMINIO è male in arnese. I suoi muri sono scrostati, l’ascensore si blocca; è una struttura fatiscente nel bel mezzo della desolazione. Sopra il palazzo non sorge il sole; tutto è bigio, plumbeo, imbronciato forse perché il cielo non riesce nemmeno a far scendere un po’di pioggia. L’asfalto che lo affianca è pieno di gibbosità, non passa mai un’automobile se non una di cui si ascolta il suo annunciarsi fastidioso con i bassi dell’HI FI che vibrano battiti profondi. Siamo in una periferia ancora più periferia di un posto indefinito. Potrebbe essere da qualsiasi parte, potrebbe essere il confine di un mondo relegato all’orizzonte della città. Il condominio è un ” Locus Solus “. È immagine di sfacelo architettonico e contenitore di solitudini umane. C’è un ragazzino che ogni mattina si alza, beve il latte, inforca la bicicletta e forse va a scuola e sembra vivere da orfano che si arrangia. C’è una signora anziana che cura il proprio appartamento, guarda Beautiful, ed è sola pure lei dopo che il figlio è in prigione per chissà cosa. C’è, al primo piano, un uomo grasso e silenzioso, quasi timido e riservato che non prende mai l’ascensore perché vivendo al primo piano non ne ha bisogno. Alla riunione condominiale per decidere se sostituire quell’arnese che funziona quasi mai è l’unico che vota contro. Il collegio dei condomini accetterà la sua decisione, gli condonerà le spese mensili a patto che non usi il nuovo. Solo che, in modo beffardo e surreale, l’uomo si ritroverà ben presto imprigionato in una sedia a rotelle. È da questo incipit scenico e di soggetto che prende il via ” Il Condominio dei Cuori Infranti” il film rivelazione anche commerciale di questo periodo-è in sala da più di un mese- che lo scrittore-attore-regista francese Samuel Benchetrit ha tratto dalla sua trilogia ” Le Cronache dell’Asfalto “ pubblicata in Francia tra il 2005 e il 2010. Un successo anche in Italia dove da sempre ciò che esce dal seminato e si affida al surreale e all’assurdo-parlandone in termini strutturali- ha molte difficoltà a penetrare nella sensibilità di un pubblico in genere più portato al divertimento che si basa sulle battute becere e su una comicità parecchio scontata, legata fin troppo agli stilemi televisivi. Il perché ” Il Condominio dei Cuori Infranti “, libera ma non errata interpretazione italiana del titolo originale ” Asphalte“, sia l’eccezione che conferma la regola è presto detto: è un film intelligente e delizioso, divertente, geniale.

SIAMO dentro una favola che poi favola forse non è.Siamo in un territorio che farebbe la felicità di Aki Kaurismäki, dove però i personaggi che si muovono all’interno e all’esterno del condominio non sono estremi, non sono reietti della società. Ma normali individui che vivono la vita, che non cercano riscatto e non sembrano avere sogni se non quelli propinati da uno sceneggiato televisivo o da qualche film che passa nella striscia serale della tv. È un’umanità, quella di Benchetrit, quasi muta. È un condominio dove dominano silenzio e incomunicabilità. Quasi ognuno difendesse il proprio essere solo, fisico e morale, dove l’unico rumore che ogni tanto si ascolta sembra provenire dalle tubature. Un noioso, fastidioso, grido metallico. Potrebbe essere una tigre, un fantasma, un extraterrestre, una trivella. Solo che le cose cambiano. In questo pianeta dove l’essere è alle prese unicamente con il proprio presente e con l’arte di arrangiarsi entrano nuovi personaggi e tutto si modificherà. Un’attrice sul viale del tramonto andrà ad occupare l’appartamento di fronte a quello del ragazzino; un astronauta della Nasa che ha avuto problemi nello spazio atterrerà sul tetto del condominio; l’uomo sulla sedia a rotelle, rimasto con il frigorifero vuoto per il suo ricovero,incontrerà un’infermiera del turno di notte dopo che ha cercato di procurarsi delle patatine fritte in una faticosa scorribanda notturna attorno a un distributore automatico. Così quella che prima era una pura e semplice ripetizione di silenzi e di gesti diventa un’occasione di confronto e di relazione. Il ” Locus Solus di Benchetrit si trasforma in una pirotecnica ricerca della parola e dei sentimenti, dell’unione e della necessità di aprirsi e di farsi conoscere per ciò che si è nella realtà.

NON SI SCIVOLA mai nello scontato in questo film che è una delizia. Il suo autore procede come un equilibrista. Cammina su una corda tesa, potrebbe precipitare da un momento all’altro. Se si piega all’assurdo beckettiano lo fa ma mai in modo radicale o incomprensibile, riesce persino a far atterrare un astronauta, a farci ascoltare le sue telefonate dall’appartamento della banlieu con la Nasa e a non perdere mai la credibilità. Se cerca di abbracciare il sentimento si mantiene nel giusto mezzo, standosene lontano dal tranello del melenso o della lacrima annunciata. È un bilancino, quello di Benchetrit, che funziona e che trova i propri contrappesi in una comicità graffiante ma non urlata, fatta di gesti e sguardi, di appostamenti notturni e di osservazioni dagli spioncini degli appartamenti, dal saper far ridere creando l’assurdo che parte da una base logica e che, venendo questa manipolata, appare credibile come se ciò che scorre sullo schermo possa accadere a chiunque. La fatica del vivere dei sei personaggi de “ Il Condominio dei Cuori Infranti ” trova la propria soluzione reciproca nel momento dell’incontro.

PERSONAGGIO simbolo e imprescindibile del film è Sterkowitz, interpretato dal regista Gustave Kervern– vi dicono nulla Louise-Michel o gli altri film che ha diretto assieme a Benoit Delepine?– l’uomo finito, in modo naturalmente beffardo, su una sedia a rotelle che ora ha bisogno dell’ascensore ma ha il problema che non avendolo voluto e non pagando la retta deve salirci quando nel condominio non c’è nessuno. I suoi appostamenti notturni per calcolare i secondi impiegati da un piano all’altro, i suoi calcoli regalano al film fin da subito uno stile particolare, proprio delle commedie dissacranti alle quali ci ha abituato da regista. È lui che sprigiona la vitalità, la voglia di non arrendersi alla caccia di un amore impossibile e folgorante. Alla ricerca di vita, di un’occasione. Si inventa ciò che non è in nome del proprio sentimento nei confronti dell’infermiera. Lo sguardo di Sterkowitz verso il mondo è crudele, disincantato, cosciente della realtà nella quale vive. La coscienza dell’abisso e della prigione esistenziale nella quale l’individuo è costretto a giostrarsi viene esaltata dal suo personaggio, il più beckettiano, che sfida le impossibilità Si spogliano eticamente tutti quanti i sei attori de “ Il Condominio dei Cuori Infranti“, sfilando a poco a poco le proprie maschere difensive nei confronti del mondo. Lo fa il ragazzino Charly- il bellissimo e intenso figlio del regista e della scomparsa Marie Trintignant, Jules Benchetrit-; lo fanno l’attrice in cerca di una parte nella propria vita –Isabelle Huppert come sempre fuoriclasse-, l’astronauta quasi alieno capitato dallo spazio-Michael Pitt– che nelle amorevoli cure della vedova algerina- Tassadid Mandi– regala alla donna un nuovo figlio e contemporaneamente trova una nuova madre, superando l’incomunicabilità tra lingue diverse; ci riesce la sognante infermiera che fuma guardando il cielo….bizzarro della sera, la sempre più convincente in un ruolo che sembra disegnato apposta per lei Valeria Bruni Tedeschi.

BURATTINAIO che tira i fili e li allenta a poco a poco alle proprie maschere, Samuel Benchetrit gira in formato cinematografico inusuale,4/3, imprime colori tenui e sbiaditi come il luogo dove inscena la sua commedia umana. Inventa battute mai banali, offre verosimiglianza alle situazioni più inconsuete, gioca con il lieto fine, fa ridere e piangere, pone pause mai fini a se stesse, sta alla larga dal compiacimento registico, non cade mai nel narcisismo autorale. Così riesce nell’impresa di portare alla luce l’umanità che si cela oltre il vuoto apparente che in precedenza ha creato e filmato. La sua favola morale diverte e non stanca; è una lezione di cinema e di idee. Che si rifà ad opere proprie della produzione francese o di quella belga sapendo sempre dove andare a parare senza crollare nel tranello del sociale, delle stucchevoli menate, della volgarità o del manifesto programmatico. Il cinema surreale e comico francese al proprio apice. Quello che non si può non amare.

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