I fantasmi di un grande Polanski

luomo-ombra-locandina.jpgC’è chi in <<Ghost Writer>>, tradotto come <<L’uomo nell’ombra>>, di Roman Polanski ha visto allusioni e riferimenti politici a Tony Blair, del quale lo sceneggiatore Robert Harris è stato per davvero un <<ghost writer>> e ci può anche stare. Ma il segreto del successo di questo film è molto più semplice: è il trionfo del cinema girato da uno degli autori fondamentali della storia, uno che ha sbagliato molto raramente, che è capace di passare da un soggetto all’altro senza per questo rinunciare alla propria personalità. E’grande cinema, quindi. Una pellicola che tiene sulle spine lo spettatore dall’inizio alla fine, giocando come sempre accade con Polanski, su ciò che è percepito, su ciò che è, su ciò che potrebbe essere. Il segreto del regista è sempre stato questo fin dagli esordi: offrire a chi osserva varie chiavi di lettura delle vicende delle quali si occupa. In superficie <<Ghost Writer>> è un film di genere, un noir in tutto e per tutto, con gli ingredienti da apnea obbligatori: la natura minacciosa, il cupo verde di boschi, ville isolate, acqua, vento e pioggia dappertutto, la sensazione che il protagonista, Ewan McGregor-che si conferma interprete straordinario- sia sempre controllato, spiato e che su di lui gravino oscuri fantasmi. C’è quindi la storia di questo eroe senza nome, McGregor, ingaggiato da un editore con un contratto di 250 mila dollari- solo in Italia chi scrive viene pagato con una micca di pane– per curare la biografia dell’ex primo ministro inglese, Pierce Brosnan, aitante signore di mezza età con un passato di attore teatrale all’epoca di Cambridge, diviso dall’unione di facciata con la moglie  Ruth, Olivia Williams, e l’amante portaborse Kim Cattrall. L’ex primo ministro vive di fatto in esilio in un’isola negli Usa, Marta’s Vineyard, conta sulla biografia per rilanciarsi politicamente, fino a quando non viene travolto da uno scandalo internazionale che lo potrebbe portare di fronte alla suprema corte di giustizia dell’Aja per violazione dei diritti umani: il suo ex ministro degli esteri lo accusa di avere usato metodi brutali nei confronti di terroristi e di essere in odore di operazioni poco chiare. Il ghost writer seguirà i vari indizi fino a una conclusione come sempre inattesa e in parte soprendente.Questo è il racconto nudo e crudo, sinossico, della trama. Ma è qui che Polanski ci dice di non fermarci, ci sussurra in ogni momento che ciò che stiamo vedendo copre dell’altro, che il suo film non è così lineare o elementare come sembra. Perché il  ghost writer protagonista senza nome, ripetiamo McGregor è strepitoso, è a sua volta a confronto con un altro fantasma: quello del precedente autore della biografia che lui è stato chiamato a sostituire perché è morto in circostanze misteriose, lasciando un’automobile bloccata dentro un ferry boat, e il proprio corpo gonfio per annegamento sulla spiaggia dell’isola. Il fantasma vivente, McGregor, comprende subito di essere ossessionato da un fantasma morto, dalle continue citazioni che di lui fanno il primo ministro e i componenti del suo staff, moglie compresa. E’un fantasma che gli parla attraverso gli oggetti, attraverso un guarda roba non recapitato a nessun parente. Seguendo ciò che il precedente <<scrittore fantasma>> ha raccolto, confutandolo, confrontandolo, parlando con altrettanti personaggi enigmatici come un  professore di Harvard, l’impareggiabile nella propria doppiezza Tom Wilkinson, il ghost writer McGregor giungerà alla spiegazione del mistero. La figura che non si vede, che non c’è ma è stata, è l’autentica anima del film di Polanski: sembra che il suo successore non sia altro che un uomo costretto dalle circostanze a proseguire la sua opera, ad arrivare alle  stesse conclusioni, a srotolare la matassa di indizi e sospetti per finire, anche lui, nell’ombra di chi è nato, cresciuto e ha vissuto per agguantare l’impotenza dell’individuo di fronte al potere della politica.Il senso compiuto di << Ghost writer>>, al di là dei parallelismi fin troppo facili su Blair o Reagan, sta proprio nel confronto tra il mondo degli umani e quello delle trame e anche su queste Polanski ci disorienta, ci offre alla fine il ribaltamento di tutto ciò che aveva fatto credere per oltre due ore di grandissimo cinema, sorretto da una sceneggiatura pimpante, senza tempi morti, e da un gruppo di interpreti dove Brosnan non si limita a interpretare il belloccio, Cattrall e Williams sono credibili, e McGregor conferma di essere un attore che bada al contenuto capace di cambiare registro senza gigioneggiare, seguendo la cupezza di una natura nemica, di un sole che non spunta perché, ci dice Polanski, in questo mondo poco o nulla c’è da salvare. E’un film molto crudele, ma di questo ce ne accorgiamo a distanza, quando si torna a casa, quando è il momento del rendiconto e della riflessione.

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