Hildegart la vergine rossa: dalla Spagna un film che convince

L’altra faccia de l’infanzia di un capo

Non so se ci si ricorda di quell’ottimo film che è stato L’Infanzia di un Capo di Brady CorbetIpnotico e fascinoso:con L’Infanzia di un Capo è nato forse un grande regista-ma l’istinto mi ha portato a ritornare a quell’opera mentre stavo gustandomi la visione di Hildegart, La Vergine Rossa della regista spagnola Paula Ortiz. Ma cosa c’entrano due storie agli antipodi, la prima tratta da uno scritto di Sartre e l’altra da un fatto realmente accaduto nella Spagna rivoluzionaria degli Anni’30? Nulla se non che in entrambi i casi ci troviamo al cospetto di due giovani: il primo che diventerà una allegorica figura che porterà in sé i germi del nazismo, la seconda una ragazza che si ribellerà agli ideali di perfezione imposti dalla madre. Hildegart, la vergine rossa, da un mesetto nel bouquet di Prime Video, è un film che convince e tiene desta l’attenzione dal primo all’ultimo minuto delle sue quasi due ore di durata. Non è un capolavoro ma è ben fatto e utilizza un fatto storico per creare una riflessione su cosa siano manipolazione psicologica, frustrazione, ansia di potere. Il tutto accadde a Hildegart Rodriguez Caballeira, icona misconosciuta del socialismo spagnolo, antesignana di un femminismo all’epoca rivoluzionario, creata e forgiata dalla madre Aurora per diventare la donna perfetta, l’individuo scevro da emozioni e sentimenti, programmata quasi come un robot da un’ideale eugenetica che muoveva la psiche malata del genitore. << Lo scultore, quando si accorge della minima imperfezione del proprio lavoro, lo distrugge >>. Era il motto di Aurora e così fece con Hildegart.

Brava Ortiz a non cadere nella trappola politica

Portare in scena la storia di Rodriguez Caballeira poteva tramutarsi nel rischio di realizzare un film politico, cosa da cui Paula Ortiz sta ampiamente alla larga. Segue, ed è storia, le battaglie di Hildegart per l’equità di genere e la sua prodigiosa ascesa tra le file del socialismo spagnolo. Ma punta il proprio obiettivo soprattutto sui sentimenti, sull’amore che all’improvviso fa capolino nell’allucinato e artificialmente tranquillo tran tran della casa di Hildegart, dove la madre impone per creare appunto la donna perfetta e la porta a essere dapprima una bambina prodigio e poi un’adolescente laureata, capace di diventare il punto di riferimento delle donne iberiche degli Anni’30. La regista quindi allontana la tentazione di trasformare Hildegart in un’eroina del socialismo per elevarla a vittima consapevole e ribelle della follia del potere, qui rappesentato per metafora proprio dalla madre. Così l’opera di Ortiz, regista molto interessante del panorama spagnolo, mette al centro la relazione amorosa e platonica di Hildegart con il socialista Abel Velilla-altro personaggio reale poi espatriato in Messico- ostacolata e vietata con ogni stratagemma dal genitore. Tutto ruota attorno alla figura di Aurora, la sua maschera impassibile, l’ossessione del controllo assoluto dell’individuo, creato e programmato per far nascere una nuova razza superiore. La madre di Hidlegart rappresenta il simbolo folle del dispotismo contro cui la ragazza combatte, una volta compreso il significato della libertà individuale e di scelta. L’umano contro il disumano, l’individuo contro l’ideologia trasformatasi in psicosi.

Uno schema classico con qualche inciampo

Hildegart,la Vergine Rossa ha una costruzione classica, priva di voli pindarici, curata nei minimi particolari, con primi piani e ambienti chiusi che ben mostrano il clima ossessivo di una casa in cui nemmeno gli estranei possono entrare o soggiornare a lungo . A Paula Ortiz interessa soprattutto porre l’accento sulle figure delle due protagoniste principali, entrare di prepotenza, e lo si comprende nel riuscito incipit in cui si conosce già la conclusione della vicenda, nel cervello di donna Aurora e nella progressiva ribellione di una figlia che rifiuta di trasformarsi in un automa. Alba Planas, interprete di Hildegart, è delicata e credibile nel recitare la parte ma la prima donna non poteva che essere Najwa Nimri, bravissima nel calarsi in Aurora, nel mostrare senza mai forzare, la follia che la pervade nell’illusione di voler costruire un mondo a propria immagine e somiglianza. I suoi sguardi, i suoi silenzi, i tormenti, gli improvvisi scatti d’ira completano Hildegart, la Vergine Rossa, senza mai far scivolare fuori dai binari un film che ha come unico limite quello di cadere, in alcuni parti, nel feuilleton. Ed è proprio dall’attrice spagnola che questi piccoli inciampi vengono leniti sul più bello. Nella realtà , Aurora Rodriguez venne condannata a 26 anni di prigione, la maggior parte trascorsi in una clinica psichiatrica. Morì nel 1955, ventidue anni dopo avere ucciso la figlia.

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