Dalle fiamme alla luce, così risorge L’Innocenza nell’amara riflessione di Kore’eda

Le analogie con Il Terzo Omicidio per raccontare i punti di vista

L’Innocenza, il film premiato per la migliore sceneggiatura al festival di Cannes del 2023, riporta la poetica di Hirokazu Kore’eda alla forma e ai contenuti del capolavoro-passato quasi inosservato- Il Terzo Omicidio(Il terzo omicidio in cui nulla è vero tranne l’arte di Kore’eda.) Nel film del 2017 l’autore giapponese utilizzava toni da noir e da indagine legale per avventurarsi nel territorio a lui più abituale, ovvero la riflessione sui fattori scatenanti l’implosione dei rapporti genitori-figli. In quel caso il registro utilizzato era sembrato uno strappo rispetto alla tradizione e per lunghi tratti anche L’Innocenza-in originale e più aderente alla tematica Monster- sembra seguire una traccia contenutistica se non uguale almeno simile. Il fatto che quest’ultima opera sia nata in collaborazione con lo sceneggiatore Yuji Sakamoto ha ampliato la sensazione. Perché Kore’eda utilizza i punti di vista dei suoi personaggi per raccontare le loro verità, i fatti attraverso la loro ottica individuale. Tante verità, nessuna verità. Il fuoco apriva il Terzo Omicidio, un incendio è l’incipit visuale de L’Innocenza. La contiguità di immagine tra l’uno e l’altro non è casuale ed è proprio dal significato deflagrante delle fiamme che bisogna partire per comprendere fino in fondo l’ennesimo film di caratura superiore alla media di un autore che continua a emozionare.

Quel mostro chiamato esistenza

Il Mostro di cui parla Kore’eda non è un bambino, non è la famiglia, nemmeno i maestri di scuola o la preside, ovvero i protagonisti de L’Innocenza. È qualcosa che sta al di sopra, un monolite capace di disgregarsi, disperdersi, penetrare nell’individuo. È l’incomunicabilità derivante dal rigido formalismo giapponese, è la frustrazione che costringe alla menzogna quasi quest’ultima sia uno stato di necessità. Le famiglie sono quelle tipiche dell’intera cinematografia del regista; spezzate già in partenza, vedove con figlio, figli di madri single, << orfani >> di padri alcolizzati. Ognuno cerca una forma di comunicazione che vada oltre la parola, la comprensione dei problemi dei protagonisti principali dell’opera che proprio a causa del non detto porta a equivoci e a sottili crudeltà. Il Mostro è ciò che si annida dentro agli individui e che esplode nel passaggio tra la pubertà e l’adolescenza con la sensazione da parte dei bambini di essere estranei e lontani dalle aspettative degli uni e degli altri. L’Innocenza è storia di solitudine e di timori, della scoperta di sentimenti al confine tra amicizia e amore come spesso accade a quell’età.

Un’indagine tenera ma rigorosa

Kore’eda indaga gli stati d’animo dei suoi attori con la tradizionale tenerezza mai disgiunta da un’analisi precisa. Per questo la vicenda viene narrata attraverso l’ottica dei tre protagonisti principali, la giovane vedova, il maestro elementare e il bimbo. Ognuno di loro, non ultima la preside della scuola il cui apparente mutismo cela un <<segreto >>inconfessabile noto però a chiunque, è seguito con l’occhio comprensivo che stempera il rischio di cupezza a favore di una piacevolezza di visione come nelle opere precedenti. Nel corso degli anni la cinematografia di Kore’eda ha saputo evolversi, percorrendo sentieri differenti che poggiano però sullo stesso suolo. Se un tempo l’unica salvezza possibile per l’istituzione famiglia era la sua riproposizione sotto forme differenti-autocitazione da La famiglia è morta, viva la famiglia. Questa volta Kore-eda entusiasma -, concetto ribadito anche dal suo penultimo film Broker- https://guidoschittone.com/broker-ancora-una-volta-koreeda-non-sbaglia-e-ci-commuove/– qui ormai siamo alla sua morte definitiva.

Una salvezza che sa quasi di condanna

Il FINALE de L’Innocenza è luminoso e in apparenza liberatorio. I bimbi possono correre felici immersi in un’arcadia fatta di campi sterminati e di verde, finalmente capaci di esprimere i propri sentimenti. È la parte ci riporta alle fughe del grazioso e divertente I Wish del 2011. In quel caso i bimbi erano in fuga per ricostituire una famiglia, rinsaldare i legami interrotti tra fratelli. Ne L’Innocenza , invece, lo stacco da tutto, determinato da un uragano, guarda caso simile a quello di Ritratto di famiglia con tempestahttps://guidoschittone.com/ritratto-di-famiglia-con-tempesta/– li rende e forse li condanna a esistere in un mondo a parte, in una dimensione altra , slegata dalla società giapponese. Un’illusione che si materializza con la scomparsa assoluta delle storie che riguardano gli adulti. È da questa commistione tra visione speranzosa e riflessione amara che Kore’eda si congeda accompagnandoci verso i titoli di coda sulle note dell’ultima colonna sonora di Ryūchi Sakamoto, con la convinzione che la mostruosità fa parte di noi stessi, del nostro intimo e che tale rimarrà. Forse meno fluido e armonico delle opere precedenti, L’Innocenza conferma l’abilità del grande autore giapponese di scandagliare i sentimenti e di creare immediata empatia tra lo spettatore e i suoi protagonisti, con i bambini, ancora una volta, al centro della scena per bravura, bellezza, dolcezza e crudeltà. Perché nessuno, nella cinematografia attuale, sa trattare l’infanzia e l’adolescenza come Hirokazu Kore’eda. Un dato certo in un mondo dove esistono solo false verità, mille verità, nessuna verità.

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