A VEDERE film come << Molière in bicicletta >>– meglio il titolo originale << Alceste in bicicletta >>– , ci si domanda perché in Italia non si riesca quasi mai a impostare film in cui la risata non è chiamata a comando e soprattutto non è fine a se stessa. In periodi di beceri cinepanettoni, dove le idee quando funzionano sono trite e ritrite perché prese a nolo, il film di Philippe Le Guay è un sorso di acqua sorgiva e la dimostrazione che la qualità paga sempre. Con pochi mezzi ma grandi idee, due grandi attori, Fabrice Luchini e Lambert Wilson, un’ottima attrice, Maya Sansa e poco altro il regista francese crea una piccola chicca non banale, dove si ride in modo intelligente e si ragiona. Sfruttare il teatro per fare cinema non è cosa nuova in Francia. È una costante, basti ricordare uno dei film che lanciarono all’epoca Abdellatif Kechiche, << La schivata >> – http://guido.sgwebitaly.it/?p=69- dove attraverso Marivaux si cercava l’integrazione dei giovani francesi delle banlieu parigine. Il teatro come colonna portante anche di registi come Chereau o come lo stesso Polanski, la cui << Venere in pelliccia >> è un chiaro omaggio alla potenza del mezzo. Perché il teatro aiuta il cinema, e quindi gli individui, a spiegare l’uomo. È quello che accade in <<Molière in bicicletta>>
Gauthier Valence, Lambert Wilson, è un attore di successo che giunge all’isola di Ré con uno scopo ben preciso. Convincere l’amico Serge Tanneur-Fabrice Luchini a tornare in scena. Non come crede quest’ultimo al cinema, bensì proprio a teatro con una versione particolare de << Il Misantropo>> di Molière. Valence conosce i punti deboli del collega.Serge infatti si è esiliato nel suo rifugio nemmeno troppo dorato e maleodorante, schifato dal mondo dell’arte, dai compromessi, dal contorno. È un purista che ha preferito l’isolamento a differenza di Gauthier, il quale ha raggiunto la fama grazie alla interpretazione di un medico in una serie televisiva di successo. Già dalle prime scene Philippe Le Guay tratteggia alla perfezione i suoi due mattatori: Wilson è portato a confrontarsi con la gente, a compiacere, a fingere di aiutare. Luchini invece è arroccato in se stesso, chiuso ma con gli occhi che brillano quando scoprono che potranno riassaporare la fama. Perché ciò che il suo collega gli propone è un’impresa mai tentata prima. Rappresentare << Il Misantropo >> con i due attori che si scambiano le parti di Alceste e di Filinte. È lo stratagemma usato da Gauthier-Wilson, a digiuno di teatro, per far riemergere la sensibilità di Serge-Luchini. E così il film inizia ad essere scandito dalle prove in metrica alessandrina del testo di Molière che a poco a poco consentono di mettere a nudo il << mostruoso >> dei due protagonisti. La vanagloria di Gauthier che negli altri e nel collega cerca la conferma delle proprie qualità. La sicumera di Serge, il suo purismo, il suo guardare Gauthier dall’alto in basso, quasi il collega non fosse altro che l’oggetto e la vittima prescelta per la propria rivincita su un mondo che lo ha messo in disparte. È un sottile campionario di cattiveria e perfidia quello che Le Guay mette in scena. Tra un verso recitato in un salotto, un altro durante una pedalata, il film corre che è un piacere verso l’inatteso. Ci sono gli incontri con la << straniera >> Francesca, Maya Sansa, la cui funzione nella storia non sarà solo quella della presa di coscienza dei propri limiti da parte dei protagonisti o quelli all’apparenza assurdi e beffardi con un campionario di umanità dove i sogni, gli obiettivi possono essere anche quelli di diventare attrici di film porno, per professione e non per piacere. Ma il sottofondo è tutto Molière. È la sua attualità, la sua capacità di essere crudelmente contemporaneo a disegnare il destino di chi è profondamente insicuro di sé stesso e per questo cerca sempre conferme negli altrui giudizi e di chi invece usa l’isolamento volontario per paura della vita stessa.
COME in << Venere in pelliccia >> anche << Molière in bicicletta >> spoglia la funzione dell’attore, la dicotomia tra artista e individuo. Lo fa con ironia, divertimento che viene trasmesso dalla sceneggiatura e dagli attori, capaci di rendere una materia del genere quasi passeggiandoci sopra, senza pesantezza. C’è della magia nel modo con il quale i francesi riescono a creare commistioni tra i vari mezzi espressivi. Un cinema che nei tempi grami di inizio secolo si affida all’eternità di un classico come Moliére per spiegare l’attualità. È, in definitiva, il proseguimento della funzione << letteraria >> del cinema che nella nouvelle vague e soprattutto in Truffaut aveva avuto il proprio apice. Sono queste le basi che creano una cinematografia vincente e sempre al passo dell’oggi. Per potere realizzare un film del genere, però, è anche necessario affidarsi a fuoriclasse. Lo sono Fabrice Luchini, Lambert Wilson, lo è Maya Sansa. Forse a non funzionare del tutto è la parte che precede quella conclusiva, la doppia sconfitta degli attori e degli uomini. Ma alla fine anche qui sarà proprio Molière a uscire trionfatore da un film dal retrogusto dolce e appagante. Se volete sorridere e a volte ridere- ed esistono anche risate intelligenti- non perdetelo.
Voto 8/10