SE QUALCUNO nutrisse ancora dubbi sulle potenzialità degli autori del cinema italiano dovrebbe andare ad assistere alla proiezione di <<Tatanka>>, il film di Giuseppe Gagliardi, giunto nelle sale in questi giorni e che tanto eco ha ricevuto più per l’assurdo che è accaduto al suo protagonista Clemente Russo– uno dei migliori pugili in circolazione nonché appartenente alle Fiamme Oro, quindi poliziotto- che per le sue effettive qualità. Forse non un capolavoro da iscrivere alla storia definitiva della settima arte ma di sicuro un’ottima opera seconda che dovrebbe avere maggiore risonanza di quella che le è stata offerta in questi giorni. Ancora una volta, come capita da un po’di tempo, è il mondo della boxe ad essere il leit motiv della pellicola. Ma a differenza del recente <<The Fighter>> qui non siamo in una cittadina operaia, bensì nei sobborghi di Marcianise, in quella <<terra altra>> descritta da Roberto Saviano che sembra un mondo a parte. Una terra di nessuno e di tutti, dove la tradizionale contrapposizione tra bene e male, giusto e ingiusto, sfuma e si dissolve, dove le regole sono quelle dettate dalla camorra, dalle associazioni a delinquere, dei favori restituiti, dei delitti culturalmente necessari e incomprensibili per chi vive lontano e non respira quella consuetudine sociale. << Tatanka>> è una storia maledetta di redenzione e purificazione vissuta da un piccolo ladruncolo di automobili che nel pugilato- lo sport più puro e autentico- trova la risposta e i motivi per affrancarsi dal proprio ambiente originario senza tuttavia perderne i lati buoni. E’un cammino lungo, drammatico, faticoso per uscire dal tunnel e vedere quella luce che illuminerà il protagonista proprio nell’attimo della comparsa dei titoli di coda. Avrebbe potuto essere un film buonista e retorico, un fumettone strappalacrime perché il soggetto si prestava parecchio a far scivolare il regista sulle corde della lacrimuccia facile. Gagliardi, invece, non cade nel tranello. Con mano ferma, da professionista, gira per un’ora e quarantasei minuti un’opera che proprio grazie alla varietà tecnica evita il ricorso allo scontato e al deja vu. Montaggio rapido, piccole indicazioni di luogo e tempo, passaggi bruschi da una scena all’altra : l’inizio è scoppiettante come fuochi d’artificio. Sembra di essere più dalle parti della nuova cinematografia cilena – la lezione di << Mala Leche>>– che di << Gomorra>> di Garrone, nonostante il ricorso al testo di Saviano e a una squadra di sceneggiatori, tra i quali proprio il <<copionista>> di Gomorra Massimo Gaudioso. E’ tutto un correre in apnea, nel quale Gagliardi è abilissimo nel presentarci il piatto che dovremo mangiare. Nella terra contaminata dal cancro della camorra la differenza tra rei e innocenti non esiste più. C’è un senso globale di impurità. Se l’ambiente è malato, nemmeno la polizia è sana, ormai si è messa sullo stesso livello di coloro che combatte; non per niente durante un interrogatorio uccide un indiziato minorenne e per giustificare l’accaduto fa ritrovare il cadavere in riva al mare. Una scena questa alla base della recente punizione comminata a Clemente Russo, <<colpevole>> di essere stato coinvolto come protagonista nel film senza esercitare le censure richieste dalla polizia. Lo stesso mare nel quale Michele e Rosario, tra un furto d’auto e il nulla da fare, corteggiano le ragazze. Michele è il più posato: è incuriosito dall’ambiente della fatiscente palestra Excelsior dove la gente fa a botte e salta la corda ma è distante mille miglia da quella strada nella quale lui e Rosario sembrano avere il destino segnato. Nella boxe Michele crede di trovare un motivo per vivere. Un valore. Non è un riscatto sociale ma qualcosa di più. Un obiettivo vero. Rosario non è come lui: è infarcito di mitologia delinquenziale e sarà la causa del primo fallimento umano di Michele, il suo migliore amico, suo <<fratello>> di sangue. E’sul contrasto tra i due che si impernia la storia. Il buono che attraverso il pugilato inizia a distinguere il bene dal male e il cattivo che si fa strada nella camorra affidandosi al realismo più crudo: è là che c’è il potere di chi comanda ed è da quell’ambiente che si può iniziare la scalata sociale ed economica. E’appunto la contrapposizione classica tra i diversi tipi di valori e disvalori che crea la storia del film. Michele è di un’altra pasta ma in nome dell’amicizia, del legame con Rosario appare succube di quest’ultimo. Finisce in galera, spezza il proprio sogno di andare alle Olimpiadi, rinuncia all’amore, per colpe commesse dall’altro che ammazza una guardia notturna. Per <<crudeltà necessaria>>, per difendere -sembra assurdo ma non lo è- il proprio amico Michele. E’LA DIVERSITA’ culturale che separa i due. A ben guardare tra Michele e Rosario il legame è fortissimo ed entrambi esprimono l’amore per l’altro secondo le proprie ottiche. Se Michele, l’uomo ostinato che vuole boxare per sfogare la propria rabbia e trovare la normalità esistenziale, è buono, Rosario non è cattivo. E’ vittima del nucleo sociale che lo ha espresso, non ha alcun modello, alcuna arma differente da ciò che ha conosciuto: la camorra, il denaro, la corruzione. Potrebbe seguire l’esempio del suo alter ego Michele ma non lo fa. Troppo scomodo, troppo contro le regole nel quale è nato. E’ un conformista. Questa è la sua colpa autentica. Ma alla fine anche lui sarà eroe e si immolerà pur di salvare l’amico, questa volta senza fargli
pagare colpe non sue. Film sulla presa di coscienza, <<Tatanka>> consente a Gagliardi di esprimere potenzialità non comuni. Detto della strepitosa parte iniziale, c’è da sottolineare l’abilità del regista nel mostrare sempre una doppia realtà. Accanto al salone delle danze di un matrimonio, per esempio, c’è una stalla dove si accettano scommesse per uccidere con un pugno secco una bufala: è una scena illuminante, strategica del film. A questa, della parte iniziale, ne seguiranno altre in ogni luogo dove avverranno le riprese: dagli incontri clandestini a mani nude a Berlino, alla sfida all’ultimo pugno a Varsavia. Caleidoscopio amaro ma non privo di speranza, <<Tatanka>> è un film intenso, senza traccia di noia con una prima parte forse più interessante della seconda la quale, comunque, mantiene alto un fascino ipnotico pur nella maggiore scontatezza della trama. Merito del modo di girare di Gagliardi che piazza la sua camera nervosa sul volto di Clemente Russo e degli altri protagonisti, cercando di coglierne i dettagli. Una ferita, uno sguardo, un gesto, in continua alternanza di luci, a volte soffuse, quasi misteriose, altre luminiscenti come il sole che splende sui muri di una palestra in decadenza. Sono molti i particolari che si ricordano del film. Gli attori sono tutti bravi: Russo con questa prova penso possa benissimo fregarsene di squalifiche e reprimende perché ha una carriera assicurata. Lo stesso dicasi per tutti gli altri. Giorgio Colangeli non ha bisogno di citazioni, è un marchio doc del nostro cinema; ne meritano invece Carmine Recano, Rosario, Vincenzo Pane e Lorenzo Scialla, ovvero i due ragazzi che prestano il volto a Rosario e Michele da giovani. Due di talento e ben gestiti, naturali e spontanei, la cui interpretazione non passa in secondo piano.