Il thriller rivestito di ironia
I Care a lot del britannico J Blakeson non è certo un capolavoro che resterà negli annali della storia ma è il classico film simil leggero in grado di mostrare le capacità attoriali del cast, in specie di una magnifica Rosamund Pike e di un convincente Peter Dinklage, e di far sorridere nonostante dietro la confezione extralusso si celino amare riflessioni sulla natura umana. Sorpresa del Toronto Film Festival dell’anno scorso, I Care a Lot si inserisce in un genere cinematografico preciso, quello per intenderci che frequenta il thriller rivestito con ironia e comicità. La novità, relativa, è che il regista sposta l’ottica dal maschile al femminile, eleggendo Pike nel ruolo di deus ex machina, perfetta carrierista senza scrupoli, avida di denaro e potere, disposta ad ogni genere di nefandezze pur di raggiungere i propri obiettivi. L’idea che al centro della scena ci sia colei che dovrebbe tutelare gli anziani rinchiusi in lussuose case di riposo è originale così come il fatto che J Blakeson non perda tempo in inutili manfrine sceniche e descriva, con scarne e secche parole, il cuore nero che pulsa nella propria eroina.
Il tifo per i colpevoli è assicurato
In questo modo lo spettatore sa cosa lo attende, sa che dovrà tifare per la perfidia perché già nell’incipit la voce fuori campo di Pike di fronte alle immagini degli anziani da accudire avverte: << Guardatevi. Seduti vi credete di essere brave persone. Fidatevi non esistono brave persone. Una volta ero come voi; pensavo che lavorare sodo e giocare lealmente mi avrebbe portata al successo e alla felicità. Non è così. Il gioco leale è una presa in giro >>. Il film parte da queste basi, da cui chi osserva non può fuggire. Anzi per merito di una sceneggiatura scoppiettante, a volte incongruente, a volte ruffiana ma ne scriveremo dopo, resta attaccato allo schermo per quasi due ore divertendosi in leggerezza.
Un film di consapevoli bastardi
Il gioco della dottoressa Marla Grayson- Rosamund Pike-, di professione tutore legale è quello di rinchiudere in case di riposo gli anziani, attraverso la complicità del sistema medico-giudiziario, e a poco a poco prosciugarne investimenti, immobili, gioielli risparmi di una vita. Solo che non essendo infallibili signora e relativi complici compiono un errore di avidità e potrebbero pagarne le conseguenze. Così il fim, che parte con una comicità leggera, a poco a poco si colora di tinte noir, soprattutto quando in scena appare una anziana vedova dal passato misterioso, l’eccellente Diane Wiest, e un ancora più oscuro figuro che in breve si trasformerà nel vero e proprio alter ego al maschile di Pike, Peter Dinklage. J Blakeson non inventa nulla, preferendo prendere a nolo una marea di sterotipi del genere ma riesce ugualmente nel compito creando una serie di eventi in cui i suoi bastardi in cerca di gloria ne combineranno di cotte e di crude pur di raggiungere gli obiettivi. Nel film, infatti, non c’è alcun innocente, tutti hanno come unica ambizione quella di accaparrarsi denaro, di moltiplicarlo a qualunque costo.
Incongruenze sceniche volute e cercate
Un’ansia eccessiva che fa passare in secondo piano le numerose incongruenze sceniche di I Care a Lot, le sue contraddizioni difetti e allo stesso tempo pregi, talmente irreali, più che surreali, da amalgamarsi alla perfezione con i desideri del pubblico. Chiara è la spietata critica all’idea di successo che sta dietro al film, alla volontà da parte del regista inglese di spogliare il perbenismo di facciata- le svapate di e-cigarette di Pike ne sono indizio- di chi nella vita ce l’ha fatta sfruttando il finto buonismo di una società, in specie quella statunitense. Peccato che per giungere al risultato J Blakeson si pieghi a volte al politicamente corretto imposto ormai dalle regole cinematografiche e non entri nella psiche né dei due personaggi principali né tantomeno di quelli di contorno, ad iniziare dalla compagna di Pike, una deliziosa Eiza Gonzalez, la cui figura avrebbe avuto bisogno di maggior peso in fase di scrittura. Insomma sono bastardi allo stato puro senza se e senza ma.
Gli attori salvano la debolezza dello script
IL limite di I Care a Lot risiede quindi nella sua superficialità, probabilmente perché l’intento era quello di offrire un prodotto divertente, svelto e poco più. Gli stessi personaggi di Rosamund Pike e di Peter Dinklage sono più macchiettistici che approfonditi. Manca, alle loro spalle, la motivazione, mancano i perché si siano trasformati in rispettabili mostri. Ci sono tanti spunti, troppi, che si perdono nel vuoto ad iniziare dalla relazione tra Pike e Gonzalez. E quindi diventa chiaro come I Care a Lot si trasformi in un film di grandi attori che grazie al loro talento riescono a celare le magagne di un soggetto che in altre mani avrebbe potuto essere ben più potente e graffiante.
Rosamund Pike ancora una volta si dimostra grande attrice
Rosamund Pike offre l’impressione di divertitsi come una matta nell’interpretare la dottoressa Grayson. È spietata con leggerezza, usa la sua innata eleganza per controbattere colpo su colpo a chi sulla crudeltà ha basato l’intera esistenza, ovvero Peter Dinklage. Il Golden Globe vinto è un premio strameritato per un’attrice in grado di passare disinvoltamente dai ruoli drammatici a quelli ironici mantenendo sempre la stessa credibilità. Certo qui della interpretazione leggendaria in Gone Girl–http://guido.sgwebitaly.it/articoli/gone-girl-spietato-e-perfetto-ritratto-della-nostra-mostruosita/– c’è una lontana parentela, a cui mancano complessità e sfaccettature, ma la colpa non è sua. Doveva essere film divertente e divertente è. Gustoso come un dessert leggero in periodi di dieta. Da godere per quello che è: una commedia per rilassarsi e sorridere in famiglia. Anche I Care a Lot è visibile sulla piattaforma di Amazon Prime.