Sono chiari i motivi del successo di Lady Bird: leggerezza e profondità sono miscelati con maestria da Greta Gerwig, compagna e musa di Noah Baumbach, in modo tale da bandire eventuali voli pindarici o complessità. Ritmo, dinamismo, sceneggiatura scoppiettante e bravura degli interpreti permettono a chiunque di gustare l’opera seconda di un’artista, Gerwig appunto, che nella specificità di recitazione e di fare cinema ha il proprio cavallo di battaglia. Ciò che colpisce in Lady Bird, infatti, non è tanto la storia in se stessa quanto il modo con cui Gerwig affronta lo stato di passaggio dall’adolescenza all’età matura di una liceale di provincia usando tutti gli stereotipi possibili e immaginabili ma riempendoli di riflessioni che scorrono nell’azione e nelle parole dei protagonisti dall’inizio alla fine.
C’È MOLTO del modo di affrontare il cinema come strumento di approfondimento mai lezioso e mai ingessato di Noah Baumbach. Greta Gerwig a tutto ciò aggiunge l’ottica femminile. Se in Frances Ha e Mistress America, film cosceneggiati da Gerwig, era la mano maschile a dirigere la commedia umana, sfruttando come terminale l’ironica e arguta presenza della compagna, qui è il tocco rosa a completare l’opera. Eroina dei conflitti generazionali e del senso sempre sospeso di non appartenenza di luogo e di ambiente, alla ricerca del proprio centro di gravità permanente che mai si completa, Gerwig regista torna sugli stessi temi. Le parole che coprono il vuoto di comunicazione, le incomprensioni, i sentimenti trattenuti, la disciplina, la pressione della religione e dei suoi usi, la cappa della vita provinciale che porta a sognare gi spazi della metropoli per eccellenza, New York, l’ansia di una libertà immaginata che forse non esiste per nessuno: tutto questo incarna Christine Lady Bird, uccello con ali che non permettono di librarsi se non attraverso le piccole ribellioni quotidiane.
GRETA GERWIG segue il percorso di maturazione della sua protagonista. Lo fa non rinunciando, come si accennava, a usare gli eventi normali che fanno parte di qualsiasi film di formazione, dalle discussioni agli innamoramenti provvisori, dai primi tradimenti, ai sotterfugi, alle reazioni improvvise. Sfruttandoli appieno con l’occhio partecipe e allo stesso tempo molto vigile, riesce a scoperchiare l’ansia esistenziale di chi partecipa alla sua commedia umana. Giovani e anziani camminano sul filo di un equilibrio artificiale; i continui confronti gli uni con gli altri non fanno altro che minare ancora di più le sicurezze. Provocano dubbi, domande. La vita e il suo non sempre equo incedere daranno però le giuste risposte. E allora non ci sarà più bisogno di volare. Si farà pace con se stessi e con il nucleo autentico degli affetti, già consci che molto probabilmente l’esistere è quello che si è vissuto e che ci sarà dopo. Niente di più, niente di meno.
INTERPRETE straordinario di Lady Bird è Saorse Ronan, ventiquattrenne già anziana per importanza e esperienza di cinema. Qui, come del resto accaduto in Brooklyn, l’attrice di origini irlandesi scandisce ogni istante del film come se avesse centrato non solo il proprio personaggio ma ciò che il regista desiderava da esso: la sua è una dolce adolescenza inquieta in cui la declinazione del dubbio e della domanda, quindi della riflessione, portano chiunque all’identificazione. Siamo stati e siamo ancora un po’ Lady o Mister Bird tutti quanti. Ma non c’è solo lei: Laurie Metcalf è una madre dallo spessore complesso, intransigente per celare i fantasmi che vivono dentro; Tracy Letts, grande drammaturgo di professione, è il padre cinquantenne che nonostante la tragedia di aver perso il posto di lavoro e di sentirsi escluso dalla società, capisce i travagli della figlia e alla fine sarà il demiurgo, capace con piccoli gesti, sensibilità e intuizione di dare reale compimento alla maturazione della figlia. Nessuno è fuori posto nel cast proposto da Greta Gerwig. Lucas Hedges, Timothée Chalamet, l’eccellente Beanie Feldstein e tanti altri ne completano il mosaico. Lady Bird non è un capolavoro ma è un ottimo film che prosegue coerentemente un modo di fare cinema che piace, in grado di affontare la vita e i suoi misteri con lo sguardo di chi non sa come andrà a finire ma che in ogni caso ci prova sempre: accettando gli altri e quindi se stessi.