L’Intrusa di Leonardo Di Costanzo si inserisce in un percorso registico che sta diventando filone nel cinema italiano: quello creato da autori provenienti dal documentario che creano film veri e propri,rinunciando alla spocchia intellettuale di voler rimarcare la propria soggettività su ciò che stanno mostrando. Perché hanno misura ed equilibrio e una naturale delicatezza che appunto proviene dal documentario. Non c’è quindi l’ansia di voler rafforzare le immagini e il recitato. Tutto diventa essenziale ma mai scarno, nudo ma mai scheletrico. L’Intrusa è un ottimo esempio per definire questo stile. Un film piccolo, di qualità, forse non originalissimo-a volte sembra di essere al cospetto di qualcosa di già visto e digerito- ma interessante e piacevole, asciutto e profondo.
Di Costanzo penetra un dilemma etico rinunciando a prendere posizione a favore o meno dei protagonisti della vicenda. Ambienta il suo indagare in un luogo fisico che potrebbe essere un’isola all’interno di un quartiere difficile di Napoli, dove delinquenza, rituali camorristici, convinvenza con grandi o piccoli fatti criminali sono coordinate fisse del vivere quotidiano. L’isola si chiama La Masseria, un giardino-laboratorio gestito da una volontaria in cui i bimbi del posto vengono in contatto con un altro modo di intendere la vita. I volontari cercano di recuperarne l’innocenza, quella che viene minata dalla strada. Ma cosa accadrebbe se per caso all’interno di questo territorio neutro fosse ospitata la moglie di un camorrista con i suoi figli e se soprattutto il marito omicida venisse arrestato là dentro? Quale sarebbe la reazione della gente e come cambierebbero i rapporti tra quartiere, istituzione scolastica e chi attraverso il volontariato cerca ogni giorno di offrire un’altra visione esistenziale ai bambini? È la domanda che sta alla base del film di Di Costanzo, che ne determina la trama da cui scaturisce un’opera intelligente e delicata nella quale solo in apparenza esiste il confronto tra due donne agli antipodi, volontaria e sposa del camorrista. Quello vero è tra le due donne e il contesto che le circonda.
Entrambe infatte sono vittime: la prima sconta l’ideale per cui non possono essere gli innocenti, la famiglia a pagare le colpe di un genitore assassino.La seconda una marchiatura sociale definitiva che la costringe a una chiusura totale verso l’esterno e a una rigidezza nei confronti di chi la ospita e della stessa figlioletta che è pura finzione, perché in lei pulsa il silenzioso tormento di chi è costretto a subire. Contro di loro c’è un mondo di genitori e della scuola che giustificano ma non perdonano, la cui comprensione del volontariato si arresta quando nell’isola apparentemente ovattata entrano gli elementi di disturbo, l’eccezione che infrange la regola mettendo a repentaglio il concetto di comunità come è appunto la famiglia del camorrista assassino. La bravura di Di Costanzo risiede nel pudore che gli permette di non prendere le parti di nessuno. Il regista osserva; documenta i giochi dei bimbi, sfruttando quei momenti come alleggerimento della situazione. Segue con particolare attenzione il personaggio di Rita, la bimba di Maria, della quale coglie l’aspetto psicologico diviso tra l’ansia di essere parte di un gruppo e la necessità di dover fare i conti con una realtà per lei ben più dura rispetto ai coetanei. Diverso, ma non meno delicato, il suo approccio alle due protagoniste. A loro l’autore riserva il compito più arduo di dare un senso alla trama, di mostrare anche e soprattutto senza parole, i rispettivi travagli interiori. Ci riesce supportato dalla bravura di Raffaella Giordano, grande danzatrice e coreografa italiana alla sua seconda prova di attrice dopo l’esperienza ne Il Giovane Favoloso,che è una credibile Giovanna, la volontaria, e di Valentina Vannino, cui il personaggio di Maria assegna una durezza di facciata assoluta che la giovane attrice rende nel migliore dei modi. L’Intrusa cresce con il passare dei minuti di pari passo con i dubbi, i tormenti, le domande che si pongono le due donne, costrette a effettuare delle scelte o a subìre situazioni. Altro merito del regista è di tenere lontana la tentazione di offrire la tradizionale napoletanità da cartolina. Nulla lega la Masseria e il suo quartiere a ciò che viene mostrato quasi sempre al cinema e nei serial televisivi. Napoli diventa quindi una periferia anonima con palazzoni tutti uguali, non distinguibile dalle periferie di qualsiasi parte del mondo. Come se la riflessione tentata da Di Costanzo partisse da una realtà locale a lui conosciuta per giungere a una indagine meno legata al territorio, più universale. L’Intrusa, pur con il limite di una parte conclusiva la cui forma non brilla per originalità, è un film interessante e piacevole. Un buon lavoro di un regista che dopo la convincente prova d’esordio de L’Intervallo anche questa volta dimostra di avere idee chiare e coerenza narrativa.