Gli applausi a Sonia Braga non salvano Aquarius dalla noia

La storia di Aquarius sarebbe bella, profonda, interessante. Potrebbe persino rasentare l’entusiasmo, perché i punti cardinali del soggetto ci sono tutti: una donna che ha sconfitto la malattia, che è benvoluta,difende il proprio appartamento dalla prepotenza dei costruttori immobiliari. A questo va aggiunta l’interpretazione intensa, partecipativa, perfetta di Sonia Braga che se ne frega di mettere in mostra il proprio non essere più giovane. Purtroppo al film del brasiliano Kleber Mendonça Filho, presentato a Cannes 2016, manca una qualità fondamentale: il ritmo. La lentezza del racconto, l’insistenza con la quale il regista continua a mantenere lo stesso accordo dall’inizio alla fine limitano e di molto le buone intenzioni con il risultato che anche l’impatto emotivo a poco a poco va a farsi benedire, sommerso da un tran tran che sfiora la noia. Si batte sempre sullo stesso tasto e anche gli episodi che avrebbero potuto offrire un’accelerazione restano lontani dall’essere accettati dallo spettatore. Passano sullo schermo come se nulla fosse ed è un peccato perchè, lo ripetiamo, il soggetto è potente, forte. Se si raggiunge la fine, dopo qualche sbadiglio di troppo, il merito va soprattutto all’attrice brasiliana che da sola salva Aquarius dalla incombente pennichella pomeridiana. Ma è troppo poco per sperticarsi, come si legge e si ascolta da più parti, in lodi.

UNO POTREBBE controbattere asserendo che si è in Brasile e che i brasiliani sono i maestri insuperabili della dilatazione della racconto. Da un piccolo fatto sono capaci di scrivere centinaia di pagine, di creare una storia, di ammantarla di fascino. Ma qui il fascino è già presente al via e purtroppo la dilatazione produce l’effetto contrario. Perde a poco a poco incisività, diventa una fredda e glaciale enunciazione di accadimenti come se mancasse del tutto l’essere partecipe del regista al dramma privato che coinvolge la sua eroina, ovvero l’esatto opposto di quello che Mendonça Filho si ripromette di narrare e di mostrare a chi è in sala. Il suo Aquarius è un sole calante che va verso il tramonto: splende nelle prime scene e nella parte iniziale, si arena in inutilità laddove invece dovrebbe diventare più duro, più cupo, più nero. Troppe sono le scene ripetute, eccessivo l’insistito ricorso a tratteggiare il personaggio principale come esempio di donna forte, democratica, capace di annullare le differenze di classe. Manca quindi l’affondo, l’esplosione che tutti si attenderebbero da una scena all’altra e che invece non arriva. Ci sono buone intenzioni mai troppo sviluppate o risolte alla fine con ingenuità. Un vero peccato.

DA APPLAUSI invece è Sonia Braga, davvero grande nel cercare di rendere appassionante il personaggio. La sua Clara è infatti una donna coraggio a tutto tondo. Operata al seno da giovane, vedova da tempo, fascinosa creatura che sul realismo ha basato il proprio ingresso nell’anzianità, vede nel proprio appartamento il simbolo della resistenza, l’emblema della propria vita. È una donna agiata, colta, capace di viaggiare per le epoche, per nulla ancorata al proprio passato, dal quale prende spunto per vivere il presente, madre, amica, rispettata e rispettosa. Sulla dignità e sulla coerenza del suo carattere poggiano le basi della propria lotta. Difende dalla speculazione, dall’ingiustizia, dall’arroganza di un’imprenditoria senza scrupoli non l’appartamento in quanto tale ma un’idea, un luogo etico, un terminale della personalità. Su Clara, Sonia Braga lavora con forza e sempre con misura, con piccoli tocchi decisivi. Il regista la segue come ancora di salvezza ma perde tutto il resto dopo avere iniziato in modo molto positivo a descrivere il contesto sociale nel quale la sua protagonista si muove. Ma se Menconça Filho è bravo nel mostrare cosa c’è oltre la cartolina turistica, non lo è nel discorso riguardante proprio l’etica, perché cerca di riportare il tutto all’ormai stancante lotta tra l’oggi, lo ieri, le illusioni e le disillusioni di una generazione. In questo modo restringe l’ottica del discorso, finendo con il riproporre sempre lo stesso refrain. Poco per consentire ad Aquarius di superare una sufficienza stiracchiata.

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