Se fossi donna consiglierei alle amiche di entrare in sala senza trucco: in caso contrario rischierebbero di uscire dopo le due ore e quaranta di << Inglorious Basterds >> di Quentin Tarantino con il rimmel colato fin sulle labbra, bruciori assortiti e le gote pitturate. Ma anche ai maschi accade più o meno le stesso: il dopo barba si squaglia che è un piacere, la lacrimazione si riproduce come un blob. Perché << Inglorious Basterds >> offre questo risultato fisico : lacrime….a crepapelle. Era da tempo che Tarantino si limitava a essere un regista icona con un grande futuro alle spalle: le ultime prove non facevano parte del libro dei ricordi, non tracciavano alcun solco nella storia della cinematografia. Quasi avesse perduto la vena dissacratoria, l’inventiva, la fantasia e si limitasse a un obsoleto giochino di rimandi cinematografici, a una sterile esegetica che nulla poteva aggiungere al suo capolavoro assoluto, << Le Iene >> e all’altro grande film per il quale era ricordato, << Pulp Fiction >>, più che per i due << contrastanti >> episodi di << Kill Bill >> o le successive produzioni minori. << Inglorious Basterds >> -preferiamo il titolo originale al << Bastardi senza gloria >> italiano e non per vezzo- non è solo un film da ridere. Tutt’altro. E’un’università di cinema, di sceneggiatura, di scenografia, di messa in scena, di recitazione, di tecnica di ripresa, di riflessione sulla storia e sul cinema stesso. C’è un dato di partenza che fa grande il Tarantino di << Inglorious Basterds >>: nessuno, prima di lui, si era spinto all’opera di dissacrazione della seconda guerra mondiale e soprattutto di quella che è stata la tragedia più grande da essa generata: lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Sbagliando film Tarantino avrebbe potuto urtare suscettibilità, memorie storiche, nervi scoperti. Non è accaduto proprio perché un regista di << classe >>, o meglio un fuoriclasse, pone il proprio sigillo nel momento in cui si trova ad affrontare un problema spinoso. Aduso al ribaltamento dei ruoli e a volte della logica il geniaccio questa volta applica e dispensa a piene mani, come quando si prepara una torta, l’ucronia. Non rilegge la storia; la contorce, l’appallottola, la straccia, ne crea una nuova per lui e per i fortunati che amano il cinema. Un esercizio di pura ucronia, il che non è nuovo in termini assoluti- nonostante i pareri di molti che gridano al miracolo- ma è nuovo per il modo attraverso il quale ci arriva: fa ucronia basandosi sulla storia, ma non quella ufficiale, bensì la sua amata storia del cinema. E di questa Tarantino non ribalta nulla, anzi la segue fedelmente fin dalla musica che apre il primo capitolo e la prima scena e prosegue con citazioni sparse qua e là fino alla conclusione del film. Si parte con il rimando ai western classici, si prosegue con i film di regime di Pabst e di Leni Riefensthal-con una proiezione di un’opera di quest’ultima posticipata di un decennio esatto- e via via verso le commedie brillanti, la sua amata e sconfinata serie di B movies-intesi come film a basso costo e di genere- e ad alcune chicche della fantascienza anni’50 e ’60. E’ portandoci in questo trattato di storia del cinema che Tarantino compie il proprio capolavoro: perché alla citazione aggiunge la creatività, elaborando capitolo per capitolo una sua visione delle cose. Il film inizia con un dialogo lunghissimo e in sala non vola una mosca. La tensione cresce in perfetta sintonia con quella dell’agricoltore che <<cela>> sotto le travi del pavimento una famiglia di ebrei mentre è incalzato dalle insinuazioni del terribile colonnello Landa. E si va avanti così, svolazzando da una parte all’altra, da una brigata di ebrei che scalpa i nazisti, dalla dolcissima ebrea che sotto falso nome gestisce un cinema parigino e della quale si innamora l’eroe del Reich che ha ammazzato 300 nemici, da un critico guarda caso cinematografico che viene inviato ad aggreggarsi alla brigata comandata da Brad Pitt per dare vita all’operazione << Kino >>, all’attrice famosa Diane Krueger che fa il doppio gioco fino al gran finale nel quale tutto il Reich al completo viene sterminato e la guerra finisce. Non c’è scena che non meriti di essere ricordata. In << Inglorious Basterds >>, la e al posto della a deriva dall’accento che Tarantino mette in bocca a Pitt nella versione originale, lo scorrimento è orizzontale: non ci sono sali e scendi, buchi, bensì un armonioso lavoro dalla prima all’ultima scena, dove la vena caustica si rivela attraverso mille particolari, dove lo spettatore avrebbe bisogno di un taccuino per segnarsi gag, battute, indizi. E’un film per il cinema, a favore del cinema più che sul cinema. Tarantino lo dice chiaramente, nel finale. Due sono le opzioni per uccidere Hitler e la sua congrega: l’operazione Kino, militare, o il tentativo assurdo, da eroi dei comics, della padrona del cinema e del suo proiezionista nero di incendiare attraverso vecchie pellicole l’intera sala nella quale le massime cariche del Reich si stanno commuovendo alla visione della prima di un film di regime. Entrambe le azioni si svolgono all’interno del cinema. Ma alla fine sarà proprio chi vive nel cinema e fa a suo modo cinema che porterà l’impresa a compimento. E’una meravigliosa metafora resa molto bene scenograficamente- credo che la scena resterà nella storia- nella quale Tarantino spiega la propria scelta: il cinema e solo esso ha la possibilità di spingere alla radicalizzazione l’ucronia. Perché il cinema è libero da ogni vincolo, è la forma espressiva che se saputa usare concede all’autore di crearsi non una contro verità, ma una realtà vera e propria, credibile nella propria incredibilità. Basta averne il coraggio. Così mentre a Parigi una sala brucia e il dolce fantasma di Melanie Laurent biancheggia tra le fiamme, Tarantino si spinge oltre: ci prepara l’happy end costruendolo tutto sull’illogicità dell’autentico protagonista del suo film, il colonnello Landa, ovvero il grandioso-non mi viene altro termine- attore austriaco Chritopher Waltz, premiato con la Palma a Cannes. Una scelta sorprendente, destrutturante il personaggio che fin dalla prima scena ci veniva indicato come il più pragmatico e intelligente del gruppo. Christopher Waltz è il mattatore. Attore teatrale, televisivo, usato da alcuni registi << cult >> come Zanussi ma ignorato a lungo dal giro, è il vero motorino di << Inglorious Basterds >>. Sa essere sgradevole e ridicolo, geniale e sorprendente con una perfidia signorile e per questo ancora più malefica. Brad Pitt prosegue nell’opera nella quale sembra davvero esprimersi al meglio: dopo i Cohen con << Burn after reading, intelligence is relative >> incontra Tarantino e si mette a giocare con gli sterotipi, rifà il verso a Marlon Brando de << Il padrino >>, assume espressioni da << bastardo>> e da << idiota >> lasciandosi definitivamente alle spalle la fama del bello e basta. L’altra rivelazione del film più che l’algida Diane Krueger è la francesina Melanie Laurent, labbra alla Uma Th
urman, sguardo dolce e melanconico, già notata in << Tutti i battiti del mio cuore >> di Audiard. Ma è il cast al completo che regge, è la direzione degli attori che fa centro. Erano anni che Tarantino non appariva in forma così smagliante. Ed è un problema perché far meglio di << Ingloriuos Basterds >> sarà molto difficile. E’un complimento, non un appunto.