Credo che nessuno come James Graham Ballard abbia saputo descrivere i mutamenti sociali degli ultimi quarantanni con una lucidità, una lungimiranza, un immenso talento che lo fanno tra i più importanti scrittori contemporanei. E’morto nel week end nemmeno troppo anziano ma nessuno tra i grandi quotidiani italiani ha dedicato alla scomparsa il giusto spazio. Certo al ricordo di Ballard sono state dedicate la pagina culturale del Corsera e de La Repubblica ma un accenno in prima pagina avrebbe dovuto fare capolino tra le notizie del lunedi. Perché qui non si tratta di uno scrittore come tanti ma di quello che più di ogni altro ha saputo << leggere >> il presente a volte con decenni d’anticipo. Aveva uno stile tutto suo, a volte poco compreso. Era ruvido, durissimo, scriveva per immagini, dando al lettore l’esatta percezione di ciò che veniva descritto pagina dopo pagina. Mischiava i termini tecnici e della medicina con la sua profonda cultura, muovendo le pedine sullo scacchiere della pagina come se fossero impazzite. Invece ogni azione e riflessione, nascevano da un pragmatismo esasperato, da un’analisi impietosa sull’uomo, al quale Ballard giungeva attraverso la descrizione di una società futuribile che noi suoi lettori avremmo vista materializzata persino nei fatti qualche anno dopo. Per la cultura è una perdita tremenda e credo che anche questa volta saranno i posteri, le generazioni successive alla nostra a decretare globalmente la grandezza dello scrittore inglese. Le analisi << ballardiane >> valgono più di molti studi sociologici e storici. Al talento dello scrittore uniscono l’intuito profetico di chi sa già come andrà a finire. Ballard ci ha spiegato attraverso le sue iperboli tecnologiche, i corpi martoriati, i brandelli di carne meccanizzati, gli incidenti stradali come esperienza di definitiva e immorale sensualità, la pornografia del mondo occidentale, i suoi tic, la violenza repressa che esplode all’improvviso, la decadenza della borghesia, il terrorismo, la fine del mondo come l’abbiamo conosciuto noi e soprattutto la morte dei principi etici impartiti alle generazioni del ‘900. Che a un certo punto la critica l’avesse relegato nel girone infernale della fantascienza o del cyber punk poco importa. Perché Ballard aveva tutto per dare fastidio ai soloni da premi a tavolino: presentava le sue trame << sgradevoli >> e a nessuno relegava narrativa consolante. << Crash >> è stato il suo successo maggiore, anche grazie allo strepitoso film scandalo che sancì la definitiva bravura di David Cronenberg nella storia del cinema. << La mostra delle atrocità >>, però, pur avendo meno la forma di << romanzo >> e la complessità notevole di linguaggio costituisce ancora oggi un caposaldo dell’estetica contemporanea. Il ciclo delle sue opere << mature >> ha scavato nelle radici del mondo borghese. Era uno scrittore << politico >> perché faceva parte di quel mondo e lo destrutturava, decomponendolo pezzo per pezzo. La vita di un condominio residenziale diventava con Ballard il teatro di una guerra nella quale affioravano tutte le debolezze della << casta >>. Londra veniva messa a ferro e fuoco dalla borghesia ormai ridotta sul lastrico, una borghesia che aveva perduto tutto, certezze economiche, ma non la vanagloria e la presunzione di ribaltare il mondo tanto per farlo, per seguire l’istinto delle pecore di unirsi al gregge, mentre nasceva un terrorismo improvviso e lo scrittore entrava nella testa di antesignani di coloro i quali cinque anni dopo avrebbero per davvero compiuto la strage nella capitale britannica. Ballard ha descritto come nessuno l’asetticità spaventosa dei centri commerciali, nei quali la gente entrava per venerare una famiglia di orsachiotti di peluche, l’omologazione degli usi e soprattutto delle teste, la nascita delle ronde, il fascino del mostruoso.Lo ha fatto con la freddezza del grande maestro, con l’acume di chi sapeva annusare il vento, rileggendo il passato, applicando concetti psicanalitici alle sue visioni, motivando, da padre rimasto vedovo molto presto, il suo non schierarsi, il non partecipare alle beghe dei condomini culturali, il suo posizionarsi come Ballard e basta nello sterminato ginepraio dei libri a tutti i costi. A lui – e quei pochi che mi leggono già lo sanno- avrei dato il Nobel perché Ballard vale Beckett, vale i grandissimi e varrà ancora di più da oggi, quando anche i più critici, rileggendolo, si ritroveranno in mano la fotografia esatta, scattata molto tempo fa, di ciò che siamo diventati. E’per questo che la sua morte avrebbe dovuto essere onorata con almeno un trafiletto e una foto in prima pagina. Il tempo sarà galantuomo?