Non essere cattivo: come la storia muta il mondo dei vinti

NON È difficile scrivere di Non Essere Cattivo, il film postumo di Claudio Caligari, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, risultando alla fine uno dei migliori della kermesse. Lo scrivo non per il fatto che il suo autore purtroppo non ci sia più e non abbia avuto la fortuna di vederlo completato in fase di montaggio, al quale ha collaborato lo stesso Valerio Mastandrea, ovvero colui che si è sbattuto per mettere assieme produttori, coproduttori e distributori. Che Caligari sia un autore di culto a dispetto del fatto che abbia girato soltanto tre film in trent’anni, i precedenti sono Amore Tossico e L’Odore della Notte, interessa gli amanti delle statistiche. Piuttosto ci sarebbe da interrogarsi sui motivi per i quali il cinema italiano troppo spesso metta all’angolo o finga di ignorare chi il mestiere del cinema lo sa fare a trecentosessanta gradi come appunto Caligariche era anche un eccellente documentarista. Ma alla fine questo aspetto lo tralascio, perché quando un’opera è postuma in genere si tende ad osservare la sua contenutistica con occhi fin troppo benevoli, per la regola consuetudinaria che una bella parola non si nega a nessuno, soprattutto quando non c’è più.

SONO FELICE che Non Essere Cattivo rimanga fuori dalle statistiche degli inutili piagnistei: non ha bisogno di spintarelle, sa difendersi benissimo da solo, è uno dei migliori film italiani degli ultimi anni e, a parer mio, è dotato di un respiro capace di portarlo ben fuori dai confini italiani. Dico un’assurdità: se fosse per me sarebbe un degno candidato per rappresentare il nostro cinema nella selezione per l’Oscar al film straniero. Non è un caso che a volte possa ricordare un tipo di cinematografia oggi in voga, quella latino-americana-cilena e messicana in particolare-con la quale ha alcuni punti in comune sia per la storia stessa sia per l’ambientazione che è parte integrante di ciò che Caligari ha voluto offrirci. È cinema che non si perde in inutili quanto stucchevoli convenevoli. Va dritto al punto, è immediato, è fatto di realismo travestito da fiction, è violento senza mai proporci una scena disturbante;è ironico e tragico, ha ritmo, mai un momento no, mai una lungaggine, mai una banalità;è vero come sono autentici i suoi antieroi. Inchiodati alla sconfitta originaria, quasi impossibilitati ad affrancarsi dallo status quo e dal contenitore nel quale sono nati, cresciuti e dove probabilmente resteranno. Eppure sono assetati di vita, cadono, precipitano, si sforzano di rialzarsi, ognuno con le proprie armi, affidate alla disperazione o al raziocinio.

PER CALIGARI questo doveva essere l’ultimo capitolo di una trilogia. Quella iniziata da Accattone di Pasolini e proseguita con Amore Tossico. Un trittico-riflessione sull’evoluzione della borgata romana, contenitore allegorico non solo fisico di tutto ciò che sta dall’altra parte e di come i mutamenti della storia, quindi degli usi e costumi, possano influenzarla. Gli eroi di Non Essere Cattivo sono i coatti della generazione degli Anni’90.Il film è ambientato nel 1995 a Ostia e dintorni, dove l’esistenza individuale naviga di cabotaggio delinquenziale; la droga ha perso i suoi contenuti di ribellione, di diversità, di protesta, intelletualistici. È puro strumento per cercare di sbarcare il lunario, per procurarsi la sopravvivenza economica, per una serata di sballo in compagnia o per aiutare qualcuno che sta male. Rispetto ad Amore Tossico-ricordato nella scena dell’incipit-, però, tra i condannati di Caligari appare un’esigenza nuova:quella della presa di coscienza, di vedere il mondo da un’altra ottica, del tentativo di sottrarsi. Così nel microcosmo spunta il lavoro come alternativa lecita per lasciarsi una stagione alle spalle. Sarà proprio il contrasto tra ciò che è e ciò che potrebbe essere a scandire ogni frame del film.

PER FARLO Caligari segue le imprese dei suoi antieroi, Cesare e Vittorio. Due come tanti altri, amici da sempre, con psicologie diverse. C’è chi cerca di rientrare nei binari della cosiddetta normalità attraverso il rifiuto e la riflessione, Vittorio, e chi, per dirla alla Pavese, ci prova ma è imprigionato dentro un mondo che gli offre solo perdite fisiche e morali come Cesare. Il regista accompagna i due ragazzi,ci mostra le loro avventure, mai piegandosi alla giustificazione delle nefandezze né all’esaltazione del tentativo di riscatto. L’approccio di Caligari è amorale. Non impone una lezione, non esprime giudizi. Racconta attraverso il cinema e fa giungere questo al punto etico di entrambi i suoi personaggi e del mondo nel quale vivono. Come un grande narratore per immagini. Ne esce un film radicalmente morale, intriso di valori, tragico e buono, dove non ci sono condanne e nemmeno assoluzioni. Dove il << bene >> lavoro può rappresentare una variabile impazzita perché va a scardinare un sistema ormai consolidato senza di fattto offrire una soluzione di reale cambiamento materiale. Dove il dualismo strada-cantiere è un filo pronto a spezzarsi in un battito di ciglia, dove il peso del passato, della condizione primigenia spesso ingobbiscono.

RICERCA DI VITA: è questo a spingere Cesare e Vittorio. Non sono sbandati senza ideali. Hanno esigenze comuni,quelle di tutti: l’amore, una casa, il legame di sangue, il costruire qualcosa. Ci provano camminando sulla stessa via che poi si divide e si interseca ancora. I due sono il testa-croce della moneta. Uno ha bisogno dell’altro ma per conquistare la salvezza, tutto ciò, forse, non basterà. È come se per Caligari si sia chiusa una fase del mondo a suo modo romantico raccontato da Pasolini e da lui stesso in Amore Tossico: non ci si immola, il tempo e la storia sono intervenuti per sgretolare anche il fascino che aveva quell’emarginazione. Non ci sono superuomini in questo film; ci sono sconfitti, vincitori apparenti, un flebile filo di speranza nel finale. I vecchi accattoni fanno ormai parte dell’antologia del passato;i tossici disperati di allora pure. Gli Anni’90 segnano l’inizio del declino, la fine delle fantasticherie. Al massimo si potrà rientrare nei ranghi di una vita buona solo per sbarcare il lunario. Da accettare o rifiutare. Ironico, dinamico, teso come una corda di violino, emozionante, profondo: questo è Non Essere Cattivo. Soprattutto recitato dai suoi protagonisti in modo da far restare a bocca aperta: si vede che Luca Marinelli è un grande attore, qui alla sua prova migliore dopo Tutti i Santi Giorni di Virzì e La Solitudine dei Numeri Primi di Saverio Costanzo. Ha registri importanti nel suo repertorio, teatrali. È versatile, passa dal drammatico all’ironico; muta espressione del volto, movimenti, trafigge lo spettatore con l’umanità al bivio di Cesare, con le sue contraddizioni, la superficialità delle scelte, il tormento interiore e la profonda debolezza. Non gli è da meno Alessandro Borghi, Vittorio. La scena in cui in preda a un allucinogeno sbarra gli occhi è solo la prova più evidente di quanto questo ragazzo abbia la stoffa per non essere un comprimario. È il suo personaggio quello che incarna il cambiamento, il fattore nuovo nella vita della borgata. E anche lui vive il macerarsi dello scegliere, l’andirivieni tra il prima e un presunto domani con l’aggiunta della responsabilità che sente per l’amico di sempre e per il suo nuovo amore. Questi due ragazzi sono talmente bravi che sembra recitino assieme da tutta una vita. Non sono improvvisati, non vengono dal mondo delle favole. Bene anche le due ragazze, Silvia D’Amico e Roberta Mattei e i tanti personaggi di contorno in un film che è perfetta sintesi di quanta potenzialità avesse il cinema di Claudio Caligari, moderno, vivace, al passo con i tempi per ritmo, sceneggiatura, per la capacità offrire sensazioni, di far ridere e piangere, di non causare distrazioni. E credo,almeno in questo caso, di piacere a tutti.

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