Il racconto dei racconti: se Garrone si limita alla didascalia

Matteo Garrone è il regista italiano che maggiormente apprezzo tra quelli della sua generazione. È preciso, fantasioso, rigoroso, personale, lucido e non ha nemmeno la mania di volersi autocitare o di dimostrare sempre e comunque di essere il migliore. Eppure, dopo non avere sbagliato nemmeno un film, anche lui è incappato nell’incidente di percorso. << Il racconto dei racconti >>, con il quale si è presentato a Cannes ricevendo un’accoglienza freddina, è un progetto ambizioso ma oltre quello lascia ben poco allo spettatore. È ineccepibile nella forma estetica, nella fotografia, nell’uso dei colori ma debolissimo nella sceneggiatura. Non procura emozione né interesse, è sufficientemente noioso per archiviarlo nelle cose che si possono anche guardare a casa quando verranno trasmesse dai canali televisivi tematici e non. Ed è incomprensibile la scelta dell’autore italiano di uscire dal seminato della sua produzione precedente per entrare nel mondo scivoloso delle fiabe, nello specifico la rilettura e relativa messa in scena di tre favole del campano Giambattista Basile tratte dal suo << Lo cunto de li cunti >> o << Pentamerone >>. Una serie di quarantanove racconti collegabili l’uno all’altro racchiusi da uno più ampio. Un’opera rivoluzionaria nell’ambito della narrativa secentesca, presa come base da tutta la produzione favolistica europea, dove ogni storia iniziava e si concludeva con un proverbio. Un libro non banale dunque, difficile, nel quale il racconto fiabesco diventa il modo per spiegare la realtà.

Basile per raggiungere il proprio obiettivo si affidava al cambiamento, alla metamorfosi dei propri personaggi e delle conseguenti situazioni nelle quali erano coinvolti. Garrone, assieme ai propri cosceneggiatori- che sono anche scrittori e registi importanti- Ugo Chiti, Edoardo Albinati, Massimo Gaudioso, ha probabilmente colto in questo capolavoro dell’arte barocca l’occasione per tornare ai temi a lui cari, quelli che da L’imbalsamatore passando per Primo Amore e Reality, più che da Gomorra, ne hanno contraddistinto il cammino autorale. L’impossibilità dell’amore, il sacrificio, gli odori, la composizione e relativa putrefazione dei corpi, l’ansia di vanità degli umani. Tutto giusto e tutto bello- formalmente il film è un trionfo quasi pittorico- peccato che il regista si perda proprio laddove ha dimostrato in passato di essere imbattibile: la concretezza del proprio discorso. Che ha avuto sempre un inizio e una fine ben precisi, cosa che ne << Il racconto dei racconti >> non avviene.

IL FILM quindi diventa un’orgia favolistica dimezzata perchè lancia la propria esca ma quando si tratta di far abboccare i pesci questi guizzano via e la pesca lascia il sacco vuoto. Sono tre le storie tratte dal libro di Basile, tutte inserite nella prima giornata di racconti: << La polece >>,(trattenemiento quinto de la iornata prima), << La Cerva Fatata >> (trattenemiento nono de la iornata prima ) e il seguente << La vecchia scortecata >> (trattenemiento decemo de la iornata prima ). Garrone non offre un ordine temporale ai racconti. L’incipit lo riserva a quello di mezzo che diventa quindi la base di partenza per descrivere gli altri due. L’operazione, almeno all’inizio, riesce e ben confonde gli spettatori. C’è una regina che non riesce ad avere figli ma attraverso il sacrificio del marito avrà ciò che desidera, passando però da una magia che darà anche a un’altra donna un gemello del primo. Con molta abilità Garrone inserisce in questa prima parte introduttiva gli indizi degli altri due racconti: un re lussurioso e un altro che ascolta distrattamente i canti della figlia giocando e alimentando con il proprio sangue una pulce.Sebbene trattate per il cinema le storie di Basile ci sono. Il guaio è che Garrone a un certo punto sembra quasi trattarle separatamente l’una dall’altra. Andrebbe bene se il film fosse diviso per << trattenemienti >> e non ci fosse un contenitore generale. Come dire: prendo tre racconti, rispetto o modifico a mio piacimento il pensiero di Basile, concludendolo o iniziandolo con il proverbio del racconto mostrato. Invece il contenitore è stato creato subito dopo la nascita dei gemelli con il doppio viaggio in carrozza da parte dei protagonisti de << La Pulce >> e de << La vecchia scortecata >> che dà il via a una lunga serie di quadri separati- le storie- che nel finale si riuniranno in modo molto approssimativo, privando il film di quella struttura autenticamente circolare che è propria del capolavoro stesso dello scrittore campano. Ed è un peccato perché Garrone dispensa fascino su fascino, quasi estasiato dall’opportunità di mettere in scena un mondo dei sogni in grado di ben evocare la mostruosità dell’individuo e di fotografare, attraverso l’allegoria favolistica, la cupezza morale del nostro contemporaneo. Il suo errore è stare nella terra di mezzo, un colpo al cerchio e uno alla botte, non prendendo una strada precisa. Ammicca al fantasy di moda, lancia spunti, ma li lascia sospesi come l’equilibrista che passeggia in alto sulla fune nel finale, cercando di trasportarsi da un monte a un altro o da un mondo a un altro. Il suo e il nostro.

È FASCINO che rischia di restare fine a se stesso, cosa che in Garrone mai era accaduta in precedenza. Così lo spettatore resta confuso chiedendosi il valore di questa operazione e soprattutto cosa resterà di questo film tra qualche anno. Se entrerà direttamente nel regno dei dimenticati o si trasformerà in una base per nuove sperimentazioni da parte di un autore al quale va comunque dato atto di cambiare in continuazione il proprio registro narrativo, di non rifare mai lo stesso film, di cercare strade nuove anche quelle più impervie. Perché è noto il potenziale favolistico del cinema di Garrone. << Reality >>, che per me resta un capolavoro non compreso appieno, con il suo incipit potente e il suo finale evocativo altro non era che una fiaba contemporanea. Che arrivava al cuore e alla mente. Qui invece Garrone fa un passo indietro. Riesce nel mostrare ma non nell’arrivare a chi osserva. Non ci si interroga alla fine de << Il racconto dei racconti >>;si torna semplicemente a casa riflettendo su un’occasione persa. Di classe, questo è sicuro. Ma poco altro di più. Parafrasando Basile << Ammaro chi a soe spese se castica >>.

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