Il Seme del Fico Sacro: la teocrazia capace anche di distruggere le famiglie

L’altra faccia del Mio Giardino Persiano

È curioso che Il Seme del Fico Sacro dell’iraniano Mohammad Rasoulof sia arrivato in sala quasi in contemporanea con l’altro film di quella nazione, Il Mio Giardino Persiano del duo Moqadam-Saneeha. Curioso ma molto utile perché il film che a Cannes 24 ha vinto il premio speciale della Giuria ed è stato in lizza per l’Oscar come miglior opera straniera è sostanzialmente l’altra faccia della stessa medaglia. Se ne Il Mio Giardino Persiano il leit motiv del soggetto è una critica feroce e dissacrante del sistema con l’accenno all’ipocrisia in cui sono costretti a vivere gli iraniani( la mia recensione qui Il Mio Giardino Persiano), ne Il Seme del Fico Sacro si entra invece nel terrore che deriva dal regime. Un percorso questo già calcato da Rasoulof nelle opere precedenti-Il Diavolo non esiste, poi tradotto in italiano con lo stesso titolo del film di Hamaguchi Il Male non esiste-che prosegue appunto con la sua ultima opera. È un cinema quindi di denuncia, ardente di passione, in cui l’autore si differenzia da altri suoi colleghi per usare meno storie allegoriche, alla Farhadi per intenderci, esponendosi senza mezze misure contro la teocrazia nazionale. Non per niente il regista, gli attori e la troupe ne hanno passate di cotte e di crude per realizzare, in segreto, un film di valore che va oltre la vicenda individuale di chi lo ha creato.

Come nasce il male

Il Male esiste: si insinua come un virus all’interno dei nuclei familiari anche i più solidi. Capita per esempio che un integerrimo funzionario giudiziale venga promosso al ruolo di giudice istruttore e debba scendere a patti con la propria coscienza. Accettare imposizioni, condanne a morte senza istruttoria. Il tutto per mantenere fede ai principi del sistema, per non perdere il proprio status sociale e per garantire il benessere alla famiglia. Il problema però si annida proprio dentro di essa. Le due giovani figlie vivono nel contemporaneo, si collegano nel mondo attraverso i telefonini, hanno le passioni di ogni ragazza e l’ambizione di essere libere da condizionamenti. La madre è il tramite tra il sistema teocratico imposto e la realtà. Proibisce, castiga, impedisce ma solo per proteggerle perché è la prima che nei momenti critici si adopera per aiutarle. Quando a Teheran scoppieranno le rivolte studentesche del 2022 a seguito della morte della studentessa Mahsa Amini la situazione all’interno della famiglia imploderà. E il contrasto tra le tre donne di casa e il padre giudice diventerà un autentico gioco al massacro che avrà il suo culmine in un lungo finale quasi western da togliere il fiato all’interno di una città abbandonata, guarda caso piena di labirinti.

Quei labirinti creati dal regime

I labirinti sono la trasposizione fisica di ciò che accade alla psiche del giudice. È il male di cui parla Rasoulof che a poco a poco prende possesso di chi ha a che fare con il sistema , che porta a identificarsi suo malgrado ad esso, a perdere qualsiasi capacità di discernere, a considerare come nemici anche gli stessi appartenenti alla propria famiglia. Il Seme del Fico Sacro diventa quindi un film durissimo, in cui il regista spinge a tavoletta il contrasto tra chi non vuole vedere ed è obnubilato e chi invece non riesce più a sopportare le bugie dei media, la brutalità dei guardiani della rivoluzione e della polizia morale, anteponendo ciò che viene ripreso dai telefoni e dai social alle false verità in cui ormai non crede più nessuno. È una rivolta che nasce a seguito di una coazione le cui fondamenta scricchiolano perché, e tutti i film iraniani lo affermano, una società colta, moderna e al passo dei tempi non può essere rinchiusa in una teca fatta di terrore. Lo stesso che Rasoulof descrive benissimo nella scena, magistrale, in cui il padre invia le tre donne da uno psicologo del regime che si trasforma in un vero e proprio interrogatorio che dovrebbe accertare la presunta colpevolezza per il fatto alla base dell’intreccio di trama. È qualcosa che difficilmente si dimenticherà ed è forse il momento in assoluto più drammatico del film.

Un cinema che guarda in faccia la realtà

Come già accennato Il Seme del Fico Sacro non si perde in troppe allegorie o raffinatezze. Il suo regista, anche per le condizioni in cui si è trovato a riprendere le scene, va al sodo mantenendo però la capacità di descrivere alla perfezione i protagonisti: ognuno di essi svela a poco a poco il proprio carattere, i progressivi cambiamenti recepiti dallo spettatore. Centrale più ancora che la figura del giudice, bravissimo Missagh Zareh, è quella di Sohelia Golestani, la madre, eccellente nel passare da un genitore in apparenza durissimo a un’alleata in nome dell’equità. Le due ragazze, Mahsa Rostami e Setareh Maleki sono altrettanto convincenti nel descrivere l’orrore. Da loro parte la ribellione, sono loro a determinare gli eventi del film e forse, anche se il finale è amaro, è da questa gioventù che una nazione splendida per storia, cultura e senso del moderno potrà tornare al profumo della libertà.

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