La La Land: dramma della solitudine in musica

Confesso di non avere mai amato particolarmente il genere musical; per questo motivo mi sono avvicinato a La La Land con una certa ritrosia e quasi controvoglia. Ognuno ha le proprie sensibilità e i propri gusti ed è difficile riuscire a infragere quel muro che ogni qual volta, quando si parla di cinema musicale, mi si para di fronte. Alla fine ho ceduto quasi per il dovere di ” essere sul pezzo “, come si dice in gergo, più che per autentica convinzione. Non si poteva mancare al film che con molta probabilità farà incetta di statuette nella prossima edizione degli Oscar cinematografici. Perché La La Land ha tutto l’occorrente per far vivere al suo autore e ai suoi protagonisti una notte speciale;da ricordare. C’è una bella storia, una strepitosa messa in scena, una serie di intuizioni che sfiorano il geniale, moltissime citazioni del passato sparse qua e là e soprattutto il tentativo da parte del suo regista, il giovane e più che promettente Damien Chazelle, noto soprattutto per l’intelligente, sarcastico, crudele Whiplash– che resta il suo film migliore- di ribaltare le regole del genere, di apportare qualcosa di nuovo, di rimettere il musical al passo coi tempi. L’operazione riesce al settanta per cento sia perché ci sono troppe lungaggini che scadono in momenti di stasi e quindi di noia sia perché il musical è difficile da impostare, scrivere, organizzare, interpretare e non sempre le ciambelle riescono con un buco perfetto. Nel complesso, però, l’ambizione di Chazelle coglie nel segno: La La Land non è un capolavoro ma è gradevole; Emma Stone e Ryan Gosling non sono Ginger Rogers e Fred Astaire, tanto per prendere due universalmente conosciuti, ma ci sanno fare perchè la scuola americana in fatto di attori ti obbliga a una professione a trecentosessanta gradi. Quindi per stare sul set, alto o basso che sia, è necessario essere in grado di ballare, cantare più o meno bene e adattarsi al volere della produzione. Si chiama professionismo.

LA REALE FORZA del film è però tutta incentrata sulla capacità di Chazelle di reinterpretare il genere. Che la musica per il regista non sia territorio sconosciuto è noto: tutta la sua produzione ruota attorno a questa passione. Al jazz, soprattutto, e alla conoscenza di come le note abbiano influenzato la storia del cinema. C’è tanta cultura in questo ragazzo del 1985 da permettergli di affrontare un territorio irto di ostacoli con apparente leggerezza. E tanta, lo ripetiamo, genialità. Il primo colpo lo assesta fin dall’incipit. La scena iniziale di una Los Angeles congestionata dal traffico- costata giorni e giorni di riprese con la chiusura di un tratto stradale- racchiude in se tutto il film. Le automobili sono contenitori di solitudini perché solcano l’asfalto di una città-o società- che rende isolati. Dove la moltitudine ascolta la radio, tambureggia sui volanti, in attesa di un qualcosa che possa liberarla. Ed ecco che dalla colonna infinita di automobili, sotto il sole di LA, la gente esce e si mette a ballare. Da questo spunto La La Land prende le mosse per raccontarci una storia di esseri appunto soli, che si muovono nel mondo inseguendo i propri sogni. Un jazzista alla ricerca del tempo perduto, riportare il jazz alla forma primordiale e pura, e per questo in perenne difficoltà economica e una romantica ragazza alla caccia del mito di Hollywood, alle prese con provini dai quali viene regolarmente scartata e bocciata. L’incontro tra i due darà vita alla più classica tra le storie d’amore, a cui mancherà l’happy end proprio del genere, per rimarcare appunto, la condizione di precarietà esistenziale che il contemporaneo impone agli individui. Sotto quest’aspetto il film è eccellente: Chazelle costruisce un racconto drammatico di speranze perdute travestendolo con i colori pastello delle commedie. Punge la sensibilità di chi osserva, lo attanaglia in modo ruffiano, obbligandolo al sorriso malinconico stampato sulle labbra, lo conduce negli stessi desideri dei suoi protagonisti; lo travolge nell’attesa del primo appuntamento, del primo bacio, del sospirato finale felice. Chazelle gioca in modo scientifico, facendo ricorso a una capacità non comune. Poi, altro colpo geniale, riporta il tutto alla cruda e dura realtà. L’impossibile dell’amore e della completa realizzazione. La naturale ambizione individuale che sacrifica il sentimento. Così La La Land si trasforma: diventa un film sul ciò che avrebbe potuto essere e un film su ciò che è. Due stadi che non collimano. Si credeva di vivere in un romanzetto fatto per sognare e invece no. Anche per il musical è tempo di calarsi nel reale.

IL CONGEGNO scenografico affascina; la fotografia è perfetta e la musica da Oscar. La La Land dal punto di vista formale è inattacabile per la cura, l’uso dei colori, della luce e dell’oscurità, per rimarcare fin dai primi momenti dei suoi forse eccessivi 126’questa doppia dimensione. Chazelle pesca a piene mani dal passato. Il citazionismo abbonda ma non è mai opprimente. Piuttosto viene usato come tappezzeria, proprio come quei manifesti che decorano la camera da letto della protagonista. Quasi una scelta di campo da parte dell’autore per invitare a un cinema che tenga conto della lezione di chi c’è stato prima. Ci sono scene riuscite,il ballo notturno dei due con le colline di Los Angeles sullo sfondo, altre inutili, quella dell’osservatorio, e purtroppo alcuni appesantimenti che nuociono alla tenuta complessiva del film. Ryan Gosling e Emma Stone hanno il merito di muoversi in un contesto tecnico parecchio complicato cercando più che strafare di attenersi a ciò che il copione prevedeva. La coppia funziona più nel recitato, ma era prevedibile, che nel musicale riuscendo comunque a caratterizzare i rispettivi personaggi, senza farli diventare marionette nelle mani del burattinaio. Stone è espressiva, cambia registro ed è intensa.Ryan Gosling è forse più contenuto e tiene a freno alcune sue potenzialità, anche comiche-come non pensare alla sua meravigliosa interpretazione de La Grande Scommessa– per restare dentro ai confini del jazzista innamorato. Ma è lui il medium scelto da Chazelle per mostrarci il senso ultimo dell’individuo perso dentro le proprie ambizioni, nell’ordinaria solitudine di una metropoli dove solo il sogno dell’irrealizzabile può aiutare a proseguire il cammino.

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