Il Cile vuoto di Raul Peralta

tony-manero.jpgRaul Peralta ha solo uno scopo nella vita: vincere il concorso per essere eletto dalla tv il Tony Manero del Cile. Per raggiungere l’obiettivo si muove in una Santiago deserta barattando i poveri oggetti rubati agli assassinati dal regime di Pinochet o peggio ancora uccidendo vecchiette, rigattieri, proiezionisti di sala o cassiere. Con quei soldi riuscirà a costruire un palco di vetro, sostituendo le travi marcite, per poter ballare meglio. Od osservare, srotolando il pizzone del film, i fotogrammi che gli interessano. Raul Peralta vive senza emozioni. Tutto è trattenuto dentro. Raul uccide senza pentimento, quasi fosse un automa. Non ha morale, non ha etica, non ha rispetto, non ha dubbi, non riesce nemmeno a eccitarsi con il sesso. E’un uomo senza qualità che vive in una nazione della quale è lo specchio fedele, ne rappresenta l’allegoria. Come accade da qualche anno a questa parte ai protagonisti del cinema cileno, Raul Peralta è circondato da un microcosmo di disperati. Un’amante, la figlia dell’amante, il fidanzato della figlia, la padrona del bar che gli affitta le camere e gli permette di provare i passi. << Siamo fortunati – dice la sua amante in una delle scene iniziali di << Tony Manero >>, lo splendido film che ha vinto l’anno scorso il festival di Torino- perché  abbiamo dei sogni >>. A lei è sufficiente immaginare il proprio uomo nelle vesti di John Travolta ma anche per i due più giovani la costruzione del futuro passa attraverso la danza, quasi che nel Cile del 1978 fosse l’unica icona sulla quale poter contare e sperare, l’unica speranza per costruirsi un futuro, per comunicare il proprio linguaggio. E poco importa che i due distribuiscano volantini sovversivi, che siano contro il regime.<< Tony Manero >> è un film sul vuoto umano, sull’annullamento di qualsiasi speranza determinato da una dittatura. Vuoto è Raul Peralta, vuota, quasi spettrale, Santiago, dove zampettano i cani randagi, dove le camionette dell’esercito assicurano il rispetto del coprifuoco, dove ogni tanto, dal nulla, spunta la sinistra autovettura della polizia politica. E’una città senza alcun modello, dove la televisione propina l’elegia quotidiana del regime, dove l’unico modo per sognare è identificarsi nel John Travolta di turno, nel Chuck Norris dei film di serie C, dove altro non esiste. Pablo Larrain, l’autore del film , ci mostra una capitale senza vita, dove tutto è in rovina, fatiscente proprio come l’esistenza di Raul Peralta e del suo piccolo micronucleo di disperati.<< Ormai è troppo tardi per sognare >> cantano amante e figlia verso la conclusione del film in una delle scene di maggior presa, nella quale le note di << Callate ya no me mientas >> delle sorelle Garcia interrompono per un attimo un film sostanzialmente privo di colonna sonora. I sogni traditi del Cile di Pinochet vengono incorniciati proprio dalle due frasi sul sogno: quella iniziale e quella della canzone. Non c’è nulla a cui ambire, nulla per il quale vale la pena di lottare. La condizione dell’individuo è bloccata, imprigionata dall’assenza di aspettative contro cui nemmeno l’opposizione clandestina può qualcosa. Così mentre la polizia politica scopre i contestatori, Raul Peralta va incontro al proprio destino di fallito. Resterà muto, in silenzio, a guardare nel vuoto. Forse per lui ci sarà un altro concorso, un altro modello dei suoi tempi a cui appoggiarsi per dare un senso al percorso esistenziale. Ma allo spettatore non è dato di sapere. Il film si chiude secco, senza alcuna concessione alla lacrima ma solo alla riflessione di avere vissuto novantotto minuti intensi, epidermici, resi indimenticabili da un attore, Alfredo Castro, che parla di rado e che nello sguardo, nell’espressione degli occhi, nelle movenze costruisce una splendida prova di recitazione, vestendo i panni di un reietto qualsiasi nella silenziosa apocalisse di Santiago del Cile ai tempi di Pinochet.<< Tony Manero >> è un film politico, di approfondimento del passato della nazione da parte di Larrain. Ma non c’è didascalia, non c’è riferimento, non c’è nulla che lo faccia apparire come una pellicola sul regime. Eppure, attraverso l’allegoria e una storia non banale, la politica salta un passaggio, entra nello spettatore, che fin dalle prime scene capisce di essere al cospetto di altro da ciò che sta vedendo. E’ l’ennesimo merito della pellicola e di un autore che dal nulla ha costruito una chicca. Ne ho scritto solo adesso, a distanza di un anno dalla presentazione a Torino. Ma nella mia videoteca << Tony Manero >> non poteva mancare. Assieme a tanti altri film cileni degli ultimi anni – vedasi << Mala Leche >> – è una punta di diamante di una cinematografia sudamericana in piena evoluzione che segnerà, come hanno fatto i coreani e gli asiatici, molte tappe del nostro futuro al cinema.

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