Cotillard-Dardenne: un incontro che sa di magia

PER FARE BUON CINEMA non serve rivolgersi agli effetti speciali o librarsi in particolari voli pindarici. Basta essere semplici e avere voglia di raccontare una storia. Che poi sia facile è da dimostrare, altrimenti tutti quanti saremmo Jean Pierre e Luc Dardenne. La storia dell’arte dimostra che non è così. Quella del cinema pure. Prendiamo per esempio l’ultima opera dei fratelli belgi, <<Due giorni, una notte >> che incanta gli spettatori e non delude la critica. Non c’è nulla che possa far gridare al clamore, nulla che lasci stupefatti e sorpresi, nulla che non faccia parte del nostro quotidiano. Eppure, per tutta la durata del film lo spettatore non riesce ad avere nemmeno un millesimo di secondo di distrazione. Resta lì, incollato allo schermo, seguendo con l’occhio vigile e il fiato in gola lo sguardo magnetico della sempre più brava Marion Cotillard, di suo marito Fabrizio Rongione, degli amici e dei nemici che la circondano. Poi, terminato il film, ci si domanda i motivi per i quali << Due giorni, una notte >>piace così tanto. La storia è di ordinaria drammaticità contemporanea. In un’azienda produttrice di pannelli solari, l’assemblea degli operai decide di barattare l’esubero di una donna da tempo assente per depressione, Cotillard, con un bonus di 1000 euro annuali in busta paga. Da una parte così ci troviamo di fronte a un’azienda che agisce come Ponzio Pilato e lascia che siano altri a sporcarsi le mani e dall’altra un sindacato capace di determinare il destino delle persone. La donna, madre di due bimbi e moglie di un cuoco, inizia quindi il suo personale viaggio da casa a casa dei colleghi per cercare di convincerli a rinunciare al bonus e a rivotare. Per farlo ha uno spazio temporale limitato:due giorni e una notte, appunto. Dal venerdì pomeriggio al lunedì mattina. Storie così in genere lasciano il tempo che trovano; c’è sempre il pericolo di traghettare il discorso verso la peggiore tra le derive della sociologia, ovvero il soggetto a tesi, demagogico, propagandistico e mettiamo trito e ritrito. Quello che i Dardenne mai hanno fatto e non fanno neanche in << Due giorni, una notte >>. Perché loro fanno cinema, travestendolo da documento.

È LA LORO FORZA, è la loro abilità acclarata. Il realismo nei Dardenne diventa quindi lo strumento privilegiato della messa in scena. È un realismo impostato, curato, preciso, inzuppato di mille particolari e sfaccettature. Il dato oggettivo, visibile e ben comprensibile, ovvero la perdita del posto di lavoro, è soltanto il blocco di partenza per un discorso molto più ampio. Dal pubblico i Dardenne entrano nell’intimo, nel privato della propria eroina, per giungere alla fine a una indimenticabile metafora sulla forza dei sentimenti e sulla resurrezione dell’individuo alle prese con le difficoltà, in apparenza insormontabili, che la vita propone. Il personaggio di Sandra non è, al contrario di quanto si ritiene, paragonabile a un emarginato della società. Né lei, né la sua famiglia, né tantomeno i suoi colleghi di lavoro sono degli esclusi. Umili, forse, ma non ultimi. Persone ordinarie, assimilabili a chiunque. Che vivono grazie al lavoro, che hanno bisogno di questo per campare, pagare la casa, gli studi ai figli, levarsi piccole soddisfazioni. Il cammino di Sandra per convincere i colleghi di lavoro è un crescendo rossiniano della sua esistenza. Si parte da una donna appena uscita da una profonda depressione, quasi incapace di affrontare la realtà, che potrebbe sprofondare nel momento in cui la vita le presenta un ennesimo conto salatissimo. Si arriva a una persona che guarda al proprio domani con realismo e con la consapevolezza di avere recuperato se stessa, la propria forza. Non ci riesce soltanto da sola: è l’amore di chi la circonda a spronarla, è l’abnegazione del marito nell’indicarle la strada da seguire. È l’affetto delle amicizie consolidate ed è la rivelazione di amicizie che il suo non darsi per vinta riesce a creare. In due giorni Sandra percorre di fatto tutta la propria esistenza, incontrando gente come lei, ognuna con le proprie ragioni e i propri personali interessi per esserle accanto o contro non per partito preso ma per pura necessità. E alla fine il sentimento che il personaggio di Cotillard riesce a trasmettere è di grande ricchezza. Umana. Non consolatoria.

I DARDENNE avrebbero potuto giocare con il personaggio di Sandra, mostrandocelo come uno contro tutti. L’individuo, isolato, che lotta per riconquistare un proprio diritto. Avrebbero però perduto il senso del loro discorso e realizzato un altro film. Qui la persona singola cambia atteggiamento nei confronti delle problematiche esterne proprio perché si accorge a poco a poco di non essere sola, di poter combattere la propria battaglia confortata dalla forza ulteriore che viene fornita dal proprio ambiente. Ecco quindi che la centralità di << Due Giorni,una notte >> non è rappresentata unicamente dal sogno di riprendersi il posto di lavoro, svenduto dai propri colleghi all’azienda. Bensì il recupero della coscienza di essere amati e accettati per come si è dal nucleo familiare. In questo modo il film si muove sempre su due piani paralleli capaci di unirsi in modo spontaneo: il privato che interagisce con il pubblico, la certezza del sentimento come base per affrontare le sfide.È qualcosa che va oltre la solidarietà o l’unione per un fine comune. Queste semmai sono dirette conseguenze del processo che i Dardenne innescano per giungere alla fine del loro lavoro. Lontanissimo migliaia di chilometri dal fumettone strappalacrime o dal manifesto urlato, secco, preciso, quasi distaccato come tutte le opere dei fratelli << magici >> del cinema europeo, << Due giorni, una notte >> vive dell’ansia e del cambiamento progressivo che Marion Cotillard trasmette agli spettatori. È un magnetismo composto, convincente, realistico appunto, che si srotola come un lunghissimo filo dalla prima scena fino all’ultima per tenere imprigionato chi osserva. L’attrice francese è deliziosa, mai fuori dalle righe, mai eccessiva, mai prima donna. Arguisce con grande facilità che tipo di cinema è quello dei Dardenne, con i quali si cimenta per la prima volta in carriera. Così ci mostra una donna fragile, insicura, disillusa che a poco a poco si accorge di possedere forza perché è circondata da chi crede in lei. Una donna che si confronta con la realtà di un mondo lavorativo che sta cambiando, che mai cerca di giudicare gli altri. Fabrizio Rongione, attore storico dei registi, è colui che la traghetta nella nuova dimensione con la potenza di un sentimento concreto e senza svolazzi.È un marito presente quando serve, che incita, sprona, sferza, non lascia soli. Perché questo film è anche storia di amore e non solo fotografia di una società. I Dardenne seguendo l’ultima camminata di Sandra verso il domani ci regalano non soltanto una donna nuova ma un grande film dove l’equilibrio è totale, dove imperfezioni non esistono. E danno l’imprimatur definitivo alla carriera di una immensa attrice, qui alle prese con una delle prove più importanti e sentite di una lunga stagione di successi. Da mostrare alle scuole di recitazione.

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