Proseguono gli incontri del Corsera con scrittori e intellettuali sul dilemma settimanale se in narrativa la politica debba essere la spinta degli scrittori oppure no. Oggi interviene Asor Rosa mettendo l’accento sullo stile che alla fine è quello che interessa allo scrittore, ponendo infine la divertente provocazione sul perché i politici oggi scrivono romanzi. Partiamo da un fatto ormai certo, contro il quale nessuno può andare: in narrativa o nelle forme espressiva nessuno inventa nulla. Poco tempo addietro accennavo a un romanzo che ha lo stesso spunto di un altro di tanto tempo fa. Di questi esempi in letteratura se ne trovano a migliaia, oggi come ieri. Quindi narrare non è nuovo nel contenuto: le domande, i problemi sono sempre gli stessi. A differenza del filosofo il narratore cerca risposte ma non le trova ed è proprio attraverso la storia che ci lascia con il dubbio. Lo scrittore spiega il proprio artigianato o mestiere-non defininiamola arte- girando attorno alle proprie domande che dal privato investono necessariamente la sfera generale, sociale, la moltitudine. Non è compito dello scrittore risolvere il dilemma ma spiegarlo, farlo vivere. Per riuscirci deve affidarsi allo stile, ovvero il modo con il quale presenta al lettore il proprio romanzo, racconto o piece teatrale. Aggiungo poi che ognuno ripete sempre lo stesso romanzo, nel senso che attraverso l’esperienza traveste i problemi della sua prova d’esordio con una storia differente. Questo accade anche nel cinema, nella pittura e in ogni forma di espressività. Stile quindi diventa la base della creazione. La conseguenza è politica perché coinvolge il nucleo sociale, perché fotografa un determinato evento. Ballard, tanto per citare qualcuno che adoro, ha spiegato i mutamenti sociali ed estetici senza fare politica, raccontando storie, interrogandosi su terrorismo e globalizzazione, su crisi della borghesia e dei canoni tradizionali con i quali ci si confrontava in società. Ma ci è arrivato con lo stile, non da una base schematica a tesi. Il suo penultimo romanzo- Regno a venire- è stato criticato e recensito male-giustamente- perchè lo scrittore inglese avendo smarrito una certa freschezza aveva pubblicato un libro a tesi, dove il gioco proprio per mancanza di ispirazione o per assuefazione allo stilema era scoperto fin dall’inizio. Un romanzo, Regno a venire, politico ma brutto. Per contro”Millennium People “, precedente a quello, diventa politico nell’analisi del terrorismo, universale perchè lo stile porta Ballard a raccontare una trama superficialmente inverosimile ma che poi abbiamo ritrovato nella vita di tutti i giorni. Quando Saviano sostiene che non potrebbe fare a meno della camorra per fare letteratura sbaglia. Lui tratta di camorra e lo fa bene perché è potenzialmente un grande scrittore. E’politico per il risultato -come politico poteva essere Truman Capote con “A sangue freddo”. Ed è sempre lo stile, alla fine, che conta. Altrimenti non avremmo proprio bisogno di letteratura.