Sergio Rubini fa parte della schiera di autori cinematografici che sembrano sempre restare in mezzo al guado. Almeno per la nostra critica. Non vengono distrutti dalle recensioni ma non hanno nemmeno la soddisfazione di trovare critici entusiasti disposti a riconoscerne in toto le qualità. Quasi che il suo non essere omologato dia fastidio, venga preso come un vezzo piuttosto che come onestà intellettuale. Il suo film più recente << Colpo d’occhio >>, è anche il suo più cupo e complesso. La cupezza è una delle caratteristiche dell’intera produzione di Rubini, è il leit-motiv che si cela sotto le battute acide dei suoi protagonisti, all’interno dei fatti apparentemente normali che apparecchia sulla tavola dello spettatore. Dentro ai piatti serviti – o parafrasando una scena di << Colpo d’occhio >> all’interno del bicchiere – c’è molto di più. << Colpo d’occhio >> impone attenzione: la trama all’inizio sembra lineare. C’è il critico famoso, potente, la sua giovane amante, l’artista emergente che gli soffia la donna. Quasi uno script da situation comedy. Però, agli spettatori attenti, Rubini ha già inviato segnali nell’incipit. Ciò che si vivrà nel film sarà appunto il << colpo d’occhio >>, il modo con il quale noi cerchiamo la verità e come attraverso questo l’arte possa rappresentare il vero. Una mostra d’arte non è in fin dei conti un’opera lirica in tre atti? Tutto il film, dunque, si snoda lungo un tragitto disseminato di falsi indizi e, come nelle opere, di eccessi. Il critico fagogita l’artista, lo maneggia. L’artista si fa maneggiare e resta in bilico tra i sensi di colpa e l’ambizione. Il critico detiene il potere, l’artista vale a seconda di come si sottomette. E’un burattino. Ma c’è dell’altro, il terzo incomodo, la donna fedifraga ed eterea, forse amata da entrambi, forse sfruttata da entrambi. E’lei la causa scatenante, la molla che porterà scena dopo scena la sit-com iniziale a trasformarsi in tragedia. Rubini impersona il critico: è un Mefistofele nei confronti del quale si prova simpatia. Combina le peggiori nefandezze psicologiche ma lo spettatore parteggia per lui a tal punto che non sa se preferire Rubini autore o Rubini attore. Scamarcio si cala nella parte del bello e dannato: ci riesce ma le sue reazioni, per quanto umane, per quanto comprensibili, lasciano chi osserva perplesso, con un vago senso di antipatia. Come se Rubini volesse indicarci che l’artista non è la sua arte, che la dicotomia è profonda, che c’è un selciato in mezzo, un fiume. Per questo Scamarcio recita da grande attore. Vittoria Puccini è la ragazza contesa, il tipo perfetto per la sua parte. Libera di amare, libera di prendere le decisioni, l’unica in grado di continuare a vivere senza i suoi spasimanti. E se fosse lei, alla fine, l’allegoria dell’arte, sulla quale Rubini ha basato tutto il fim? In ogni caso << Colpo d’occhio >> si presta a mille interpretazioni aggiuntive: è il segreto dell’autore, è la capacità dell’artista pugliese di lasciarci sempre con qualche domanda e di concederci la possibilità di interpretazione. E’un menu ricco che ci offre. Da assaggiare e gustare perché sono in pochi in Italia e all’estero ad avere il coraggio, la classe e la genialità di preparare piatti del genere. Rubini è uno di questi e a me piace ….assai. Da oggi ancora di più.