Meglio Doris Lessing di tanti altri: la scrittrice inglese è comunque una che ha inciso nel percorso narrativo, dedicandosi addirittura a lavori che possono sfiorare la fantascienza. Però ancora una volta la scelta del vincitore del Nobel per la letteratura propone critiche doverose: il grande favorito della vigilia sembrava essere- giustamente- Philipp Roth-la cui costanza narrativa e importante nel solco della grande tradizione statunitese e anche ebraica, pur se lui stesso non gradirebbe la definizione è dimostrata dalla mole dei lavori pubblicati- e Roth è stato fregato. Meglio Lessig, dunque, piuttosto che tanti altri facenti parte di un elenco sterminato di scrittori internazionali. Meglio Lessing piuttosto che Roberto Benigni, come avrebbe voluto l’italietta dei sondaggi-vedasi quello di ieri del Corsera- ma queste decisioni lasciano sempre il tempo che trovano. Il Nobel dovrebbe essere il premio massimo al quale aspirare, la selezione della selezione, la scrematura del latte migliore che è prodotto nel mondo. Spesso le opzioni seguono percorsi strani. Accade che il Nobel venga attribuito alla Jelinek- che presuntuosamente ho definito un treno accelerato con le sembianze di Thomas Berhnard- o che comunque centri il bersaglio come nel caso di Harold Pinter, tanto per parlare di due casi recenti. I premi, si sa, hanno valore solo per chi li sa sruttare. Gli editori più che gli scrittori, ai quali al di là del denaro resta quel momentaneo piacere del superego, di narcisismo appagato. A Roth probabilmente si imputa il suo stile di vita, il fatto che comunque sia cittadino del mondo, che gli piacciano ancora le belle donne e che prosegua nella sua coerenza narrativa. Viva la Lessing dunque. Ma Roth me lo tengo, da lettore, ben più stretto. I premi non mi convincono della bontà di un’opera, sia essa singola o l’intera produzione