Quanta luce c’è in quella natura morta

STILL LIFE

LA VITA di John May-Eddie Marsan-dipende dai morti. Quelli che se ne vanno senza alcun parente accanto, in completa solitudine, abbandonati a loro stessi. I dimenticati delle metropoli, non importa siano impiegati, casalinghe, barboni, etilisti, studenti, delinquenti. John May è il funzionario del comune londinese che si occupa di rintracciare eventuali conoscenti e di organizzare l’ultimo saluto prima della sepoltura o della cremazione. Tutta la sua vita è un lungo cerchio ritmato dalla morte. John May potrebbe autodefinirsi un esegeta delle esistenze interrotte perché per professione e per convinzione ricostruisce attraverso vecchie foto raccolte in un album persino la storia delle persone che deve accudire. Sceglie le musiche per il funerale, redige le omelie per il prete, gestisce il luogo dove dovranno essere interrati o si occupa personalmente di spargere le ceneri laddove preferisce, mettiamo accanto ad aiuole fiorite. La sua vita è una ripetizione di gesti e di usi. Mangia sempre scatolette di tonno, con toast e una tazza di tea. Raccoglie le briciole dalla tavola, dispone le posate alla perfezione, tiene la scrivania dell’ufficio linda e ordinata. E’un uomo solo. La versione << vivente >> di coloro dei quali si occupa. E’per questo che Uberto Pasolini lo segue con la cinepresa disegnando << nature morte >>. Creando un film bellissimo, intenso, raffinato, di quelli che ti porti appresso se sei dotato di un minimo di sensibilità.

<< Still Life >> a Venezia ha vinto il premio per la miglior regia nella sezione Orizzonti. Non è il valore del premio a sancirne la bontà. E’la sua struttura, la sua scrittura, l’interpretazione che ne danno gli attori, Eddie Marsan su tutti. E’la fotografia scelta da Pasolini per dare allo spettatore fin dal primo secondo l’idea di ciò che vivrà sullo schermo; è il contrasto tra la storia di John May, l’uomo qualunque dall’esistenza grigia e la luce che permea ogni inquadratura. Non c’è notte, non c’è tramonto in << Still Life >>. Il bianco e i colori pastello predominano. Ogni scena è un quadro, una natura morta illuminata. Perché è questa la luminosità che emana il protagonista.

A John May resta un ultimo caso da risolvere prima di ricevere il benservito dai propri superiori. E’una questione di orgoglio e di giustizia. Così la morte di un barbone diventa la conditio sine qua non dell’impiegato modello May per chiudere brillantemente la propria carriera. Avvicinandosi alla verità di un passato insospettabile, il protagonista di << Still Life >> inizierà a cambiare anche la propria vita. I confini del limbo nel quale John May si trova a poco a poco si allargheranno. Ci sarà spazio per un’altra ottica esistenziale, per gustare dopo vent’anni di onorato servizio anche le potenziali gioie; lambire i sentimenti per esempio, portare a conclusione il proprio compito, riuscendo a ritrovare figlia e amici dell’ultimo morto, agguantare la leggerezza del vivere. Fino alla beffa finale che arriva come un pugno nello stomaco dello spettatore, ben assestato dal regista, con grazia, fantasia.

<< Still Life >> è un film struggente. Profondo. Con pennellate di classe, Uberto Pasolini ci mette di fronte alle nostre domande, ci disegna il destino dell’individuo,imponendoci l’imperativo quasi categorico di morte come giustificazione alla vita stessa e non viceversa. Eddie Marsan è il suo uomo qualunque, identico a coloro dei quali si occupa: un eroe della solitudine. I suoi sguardi, i suoi silenzi, il suo vagare tra un cimitero, un obitorio e una scrivania assumono il valore di rito, lo stesso che questo grandissimo attore pone nel riassettare scrivania e tavola.

<< Still Life >> potrebbe passare per chi non ne ha sentito parlare come un film pesantissimo. Non è così, perché Pasolini punta proprio sulla grazia e la leggerezza per raccontarci una storia di ordinaria solitudine del XXI secolo. Lo fa scegliendo un cast importante: con Marsan non si sbaglia mai. Il suo sguardo è unico nel cinema, la sua fisionomia è perfetta per la parte. Ma, sebbene in scena per poco, è bravissima anche Joanna Froggatt, anch’ella imprigionata da una solitudine imposta e che in John May trova quella luce esistenziale spenta dai casi della vita. Sono poche le parole in << Still Life >>, essenziali. Uberto Pasolini sembra prediligere i gesti, i piani visivi, i simboli. Non sbaglia scelta creando un film importante di ben altro spessore rispetto al precedente << Machan >>. Uno dei migliori dell’anno.
Voto 8,5/10

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