La magnifica elegia delle radici nella casa dei papaveri

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<<NOI dello Studio Ghibli ci siamo sempre vantati di non realizzare cose alla moda e così intendiamo proseguire>>: con queste parole il grande Hayao Miyazaki ha introdotto la discussione sul tema canoro di <<La collina dei papaveri>> in sede di conferenza stampa. Erano i mesi post sisma giapponese, il lavoro per la realizzazione del film animato andava a rilento proprio a causa delle difficoltà logistiche e soprattutto per altri progetti,<<Arrietty>>, nei quali Miyazaki era impegnato. Il geniale pittore, autore, regista, artista a tutto tondo, si rendeva conto di causare qualche danno al lavoro che il figlio Goro stava svolgendo. Ma alla fine, una volta completata la sceneggiatura e quindi lo story board, <<La collina dei papaveri>> è venuta alla luce ed è stata un’esplosione di colori, un film vero e proprio che definire cartone animato o di semplice animazione suonerebbe come un delitto. Peccato che al cinema sia passato soltanto una volta, in novembre e in contemporanea in alcune sale delle città prescelte, per poi essere distribuito nella versione in dvd già disponibile da alcune settimane. Un modo originale che però la dice lunga sulla maturità del pubblico di casa nostra, quasi sempre restio a farsi affascinare da titoli che escono dalla banalità e una indiretta sconfitta per i gestori delle sale cinematografiche ai quali Lucky Red ha preferito i salotti domestici degli appassionati.

<< La collina dei papaveri>> nasce da un manga che lo stesso Miyazaki aveva trovato parecchi anni fa in una baita. Una storia ambientata negli Anni’80 che lo aveva affascinato e che era rimasta dentro per poi esplodere all’improvviso quando l’artista giapponese ha ascoltato una vecchia canzone <<  Sayonara no natsu>>. Da questa illuminazione è partito il progetto che ha coinvolto in prima persona il figlio Goro, regista del film, e tutta la gente dello Studio Ghibli con il settantunenne Hayao autore della sceneggiatura e coordinatore di tutta l’operazione. Ma non si è trattato di un semplice trasporto in animazione di qualcosa di già esistente. Per arrivare a ciò che i Miyazaki volevano dire è stato effettuato un durissimo lavoro di stravolgimento dell’originale che ha coinvolto addirittura il tema musicale. Dagli Anni’80 la scena è stata portata indietro, al 1963, ambientata in una Yokoshima ideale e quasi arcaica rispetto a quella conosciuta oggi. In questo modo, come sostiene Goro Miyazaki, si è cercato di fare storia. Una trovata geniale che permette a << La collina dei papaveri>> di essere una fotografia del Sol Levante, della sua gente, del suo orgoglio, del suo legame con le tradizioni e appunto le proprie radici. E’grazie a ciò che la rivolta studentesca descritta nel manga contemporaneo degli Anni’80 viene usata come allegoria, innestata in un decennio differente. Il 1963 è infatti quello che precede l’Olimpiade di Tokyo, ovvero la prima occasione del Paese di uscire dall’isolamento internazionale e di dimostrare di avere saputo ricostruirsi dopo la tragica conclusione della seconda guerra mondiale. Ma sia chiaro: non si tratta di elegia nazionale, bensì di riflessione. La superficialità e lo scontato non abitano nei territori della famiglia Miyazaki.

TUTTO il film gioca su un doppio registro che procede parallelo e si interseca, l’uno rimanda all’altro e viceversa. Una ragazzina di sedici anni Umi ogni giorno issa le bandiere marinare dalla casa dei papaveri, una splendida abitazione un tempo ospedale e di proprietà dei nonni. Una casa che dà su un precipizio dolce che finisce nel mare dove solcano le navi e i rimorchiatori vanno  avanti e indietro dal porto. Su uno di questi, il diciassettenne Shun, ad insaputa della ragazza, risponde quotidianamente all’alza bandiera prima di attraccare per andare a scuola.Entrambi sono alla ricerca delle proprie radici. Umi vive nella sua splendida casa famiglia con la nonna e una serie di pittoreschi personaggi femminili, una sorella, una pittrice, un medico. Sua madre è lontana, impegnata in un convegno,  e suo padre non c’è più. Non lo ha mai conosciuto, è morto in mare silurato. Scopriremo più avanti che il suo alzare le bandiere è un retaggio infantile e significa attesa e ricerca del padre. Anche Shun è orfano : vive con i genitori adottivi in un quartiere di pescatori-suo padre adottivo è comandante del rimorchiatore-e nulla sa di ciò che è stato prima, se non che anche suo padre è morto in guerra e su una nave. I due frequentano la stessa scuola, dove i maschi si impegnano a gestire il <<Quartiere Latino>>, un palazzone decrepito e cencioso, dove stampano un giornale, discutono di filosofia, letteratura, storia e osservano il cielo da rudimentali telescopi. Tra Umi e Shun sboccia presto l’amore e la condivisione delle proprie assenze mentre la scuola è in fermento e divisa tra chi vorrebbe accettare la destinazione del <<Quartiere Latino>> in club house e chi invece attraverso la cultura e lo studio lo vuole preservare a tutti i costi.

IL FILM quindi ci porta in continuazione ad un andirivieni: le radici come ricerca di identità per i due ragazzi, il passato come punto fermo per la crescita futura per gli studenti, tra i quali guarda caso sia Umi sia Shun sono tra i più fervidi fautori. Il fantasma di Hiroshima e Nagasaki aleggia pesantemente su questa storia. I Miyazaki fissano il periodo di passaggio giapponese con la delicatezza e la classe che solo loro possiedono, con la precisione dei particolari, con i tocchi d’artista che vanno dalla perfetta descrizione scenica della un tempo incantevole Yokohama-la cui costruzione animata ha richiesto parecchie ricerche che hanno portato padre e figlio a realizzare una città ideale, unendo dati precisi con la fantasia geniale- a quadri che sembrano uscire dalla scuola di Jackson Pollock fino alla cura anche del dettaglio più insignificante -per esempio una televisione vista di tre quarti con le immagini all’interno o le bottiglie di Coca Cola o di Johnny Walker Black Label- fino al continuo mutare delle luci e delle atmosfere. Così <<La collina dei papaveri>> diventa un mondo nel quale lo spettatore si cala senza accorgersi di essere dentro un film per giunta animato. Alla fine la storia vedrà le caselle scomporsi per poi ricomporsi in un finale lieto, con la consapevolezza che solo conoscendo ciò che è stato si può costruire il domani. Un discorso non retorico sulla identità giapponese e un monito per chi pensa che sia più saggio fare terra bruciata di origini e cultura, vivendo il presente senza memoria e senza idea del futuro. Cultura, quindi, come base. Conoscenza come patrimonio individuale e collettivo. Dentro questo film c’è tutto il Giappone e il suo orgoglio ed è importante che sia stato Goro Miyazaki a firmarlo: segno che il mitico Studio Ghibli nella modernità non tradirà mai sé stesso e i suoi principi cardine: fare film contemporanei non alla moda per consegnarsi alla storia. Liberi di creare secondo le idee e il gusto, non per imposizione esterna. Per restare nella storia del cinema, proprio come accadrà con <<La collina dei papaveri>>.

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