Il titolo non si riferisce al soggetto del film di Sam Garbarski con l’intensa, deliziosa Marianne Faithfull, l’attore cult di Kusturica, Miki Manojlovic e due giovani promettenti come Kevin Bishop e Siobhan Hewlett ma alla delicata lezione di cinema che ha impartito in queste lunghe settimane di dicembre, le più importanti per il box office cinematografico. Non premiato- e chissà mai perchè al festival di Berlino- << Irina Palm >> è stato uno dei film più visti nelle sale e più apprezzati sia dal pubblico sia dalla critica. Ieri, parlando di << Lussuria >>, dicevo che il limite del Leone d’Oro 2007 era nella mancanza di passione, nell’assenza del torbido, del morboso, dell’accelerazione nel film di Ang Lee. Un’opera d’autore senza che l’autore le abbia dato un tocco di personalità. Il soggetto di << Irina Palm >> avrebbe potuto prestarsi allo scandalo. Molti registi avrebbero preso spunto da questa storia per imbastire una storia piena di pruriti, con la pretesa di fare semplice sociologia sul fenomeno dei locali a luce rossa di Soho e delle altre parti del mondo. Garbarski non è caduto nel tranello: il suo è il film rivelazione dell’anno, una piccola chicca nella quale la disperazione di chi è rimasto senza lavoro riceve ricompensa solo dall’ambiente che nessuno si sarebbe aspettato. Non è nemmeno un film buonista: lo spaccato di costume è sarcastico, l’happy end, appena accennato, sa di umanità. Dopo il perfetto << La promessa dell’assassino >>, << Irina Palm >> contende la palma di miglior film a << Paranoid Park >> e << La valle di Elah >>. Sono queste quattro le pellicole che bisogna salvare dalla mediocrità dell’offerta. Ci fa piacere, infine, che a distribuirlo in Italia sia stato un critico molto bravo che da tempo ha lasciato la professione: Vieri Razzini. Sì proprio lui, che ha insegnato – almeno alla mia generazione – dove e come si faceva il cinema di qualità.