Ogni tanto viene da domandarsi perché solo all’estero sia possibile concepire film dal contenuto originale, fuori dagli schemi, eppure ben inseriti sia in un discorso che vira verso il sociale sia verso le grandi domande che un po’tutti gli umani si pongono. << Lourdes >> della non ancora trentottenne austriaca Jessica Hausner è uno di questi ed è tra i più interessanti presentati nel corso dei festival cinematografici del 2009. Guardandolo, gustandolo, domandandosi gli stessi punti interrogativi che la regista si pone, c’è da chiedersi come mai in Italia nessuno si sia mai spinto ad andare in profondità sul fenomeno industriale-miracolistico di San Giovanni Rotondo e di Padre Pio con tutto ciò che ne consegue sia nel riflesso commerciale e affaristico sia in quello più strettamente legato al rito religioso, alle sue credenze e alle sue derive. Lourdes , uscito questa settimana nelle sale dopo il successo di pubblico e di critica, anche cattolica, del festival di Venezia, è appunto un’opera diversa, interessante, per nulla scontata, con un finale grottesco, perfido, uno sberleffo che fa a pugni con le edulcorate descrizioni dei miracoli, delle speranze, della stessa fede.Jessica Hausner non parte, nonostante parecchi pareri contrari soprattutto da parte degli studiosi di religione, da un presupposto laico o, peggio ancora, ateo, di negazione. Nient’affatto. fa ciò che ogni regista dovrebbe mettere in pratica: segue un gruppo di pellegrini accompagnati da volontari dell’ordine di Malta scoperchiando le intime motivazioni di ognuno. Christine è una ragazza ridotta in carrozzella per una sclerosi a placche. I suoi occhi osservano il fenomeno Lourdes con scetticismo, i suoi riti artificiali, la fabbrica dell’illusione con disincanto. Non è una fedele nel senso letterale del termine. Va a Lourdes come è andata in pellegrinaggio a Roma- che preferisce perché è più culturale– come andrebbe ovunque pur di allontanarsi dalla solitudine fisica e morale di chi sta dall’altra parte. Lourdes per Christine e gli altri ammalati non è tanto la ricerca disperata della guarigione del corpo o dell’anima. E’una delle rare occasioni di incontro, di socialità, di appartenenza. Lo confessa al prete in uno dei suoi giorni: trova ingiusto essere ridotta in quelle condizioni, non riesce ad accettare passivamente il proprio destino, la propria vita anormale. Hausner la segue e assieme a lei non dimentica di descriverci freddamente, senza alcuna partecipazione, la pletora dei volontari, di chi si trova a Lourdes per fare qualcosa di diverso e rendersi utile tra un lavoretto e l’altro, l’industria dei souvenir, delle organizzazioni che gestiscono milioni e milioni di pellegrini all’anno. A Lourdes la vita scorre sul doppio binario: di giorno si accompagnano i malati in tour obbligati alle grotte, alle piscine, alle messe, alle confessioni, di sera, messi a letto gli infermi, si ammicca all’accompagnatore o all’accompagnatrice, si raccontano barzellette, si beve in attesa del prossimo giro di giostra. E i malati stanno lì, per nulla speranzosi del miracolo, ad ascoltare preti che si limitano a non spiegare nulla ma a recitare lo scontato, a confrontarsi con le proprie storie, a dubitare degli stessi filmati nei quali presunti miracolati raccontano cosa è accaduto a loro. Più che un viaggio della speranza, Lourdes si trasforma nel film di Jessica Hausner in un gigantesco luna park della deriva religiosa, nella quale la fede sembra davvero essere un ricordo lontano. Finché non accade ciò che lo spettatore e il gruppo di pellegrini vogliono vedere realizzato: il miracolo o presunto tale.Christine inizia a camminare, è l’eroina del gruppo, vince il premio del pellegrino dell’anno. Lei stessa si domanda il perché è accaduto a lei e non ad altri. Le <<beghine >> pettegole e invidiose lo chiedono al prete, il quale va avanti nel fornire le proprie risposte scontate. I medici vanno cauti nel certificare l’evento, eppure tutto ciò basta a Christine per sognare una vita desiderata e mai vissuta. All’occhio dello spettatore Hausner sciorina l’esistenza normalizzata della propria protagonista: i camerieri l’applaudono, i sacerdoti si congratulano, la fotografia di gruppo viene rifatta, ci scappa persino un bacio con un accompagnatore fino alla conclusione, cattivissima, da ricordare nella quale la certezza ritorna incertezza, il miracolo forse è finto forse è vero, la malattia sconfitta oppure no, l’amore trovato o perduto, in un ballo lunghissimo, in una scena magnifica, di una forza pari a quella del ballo di gruppo di Rachel getting married di Jonathan Demme e sarcastica come un Bunuel o Ferreri d’annata. Le note di Felicità chiudono il film con un immenso punto interrogativo, anche se non è la questione del miracolo sì, miracolo no che interessa a Hausner e a chi osserva.Lourdes è un film di stile, completo. Vira dalla <<no fiction >> alla << fiction >> con una raffinatezza di ripresa e una grazia nella sceneggiatura difficilmente riscontrabili nelle opere dei giovani registi. L’humour nero è spalmato all’occorrenza con furbizia, l’intelligenza del discorso viene espressa da ogni inquadratura, da ogni situazione. Il suo limite è quello stesso della natura umana alle prese con il sovrannaturale e con i dubbi su esso. Che, ci dice Hausner , nemmeno coloro i quali dovrebbero sapere riescono a spiegare e a rendere credibile. La religione come mestiere e come affare, come gesto quotidiano, come rifugio per crearsi un senso individuale di esistenza e come domanda alla quale un regista non può certo rispondere, ma solo annotare e trasferire i punti interrogativi ad ognuno di noi. Con grande sapienza e bravura.