Il cinema italiano?Basta crederci

Non è la rinascita del cinema italiano. << Gomorra >> e << Il divo >> sono semplicemente due film nel quali i produttori hanno creduto. Li hanno finanziati, li hanno distribuiti massicciamente, li hanno portati a Cannes – cosa che non accadeva per pellicole di spessore da parecchio tempo – e hanno lavorato alla buona riuscita dell’operazione. Matteo Garrone e Paolo Sorrentino sono solo le punte di diamante di una generazione che si è formata negli anni della crisi << imposta >> più profonda del nostro cinema. Ho usato il termine << imposta >> perché in Italia il cinema si è sempre fatto e bene. Non alludo ai film dei fuoriclasse, dei << maestri >> – tanti – ma a quello della base, degli artigiani che hanno sempre dimostrato anche quando si affidavano per ragioni di sopravvivenza al cosidetto << sottogenere >> di sapere girare e raccontare storie. Ciò che è mancato a partire dalla fine degli Anni’70 fino a poco tempo fa, è stato il credere al discorso personale, non omologato, al dare spazio a una moltitudine di voci, diverse tra loro, che hanno avuto enormi difficoltà a reperire finanziamenti e soprattutto validi canali distributivi. I casi di Garrone e Sorrentino dimostrano invece che se c’è chi produce, nella specie Fandango e Lucky Red, badando soprattutto alla qualità e alla distribuzione capillare, il successo anche economico è assicurato. E’una pura e semplice questione di organizzazione e di competenza, di gusto, di fiuto che Domenico Procacci e Andrea Occhipinti hanno compreso da parecchi anni. I << vincitori >> morali di Cannes sono gli eredi dei grandissimi del nostro cinema. Ne possiedono sia la personalità, sia la costanza, sia il coraggio di andare avanti per la loro strada con un discorso che sta alla larga delle mode. Ma non sono soli: da spettatore potrei fare un elenco lunghissimo di autori italiani di alto livello, rinunciando a citare alcuni ormai diventati dei << classici >>, da Olmi a Bellocchio, da Bertolucci a Giordana, da Monicelli ad Avati da Moretti ad Amelio (ci metto anche Tornatore, che a me non piace per niente ma sa cosa è il cinema). I film di Soldini, Mazzacurati (che adoro e trovo sottovalutato), Capuano, Rubini ( altro sottostimato ), Luchetti, Costanzo, Munzi, De Lillo, Spada, tanto per citare due signore, di quasi esordienti interessanti come Angelini e Bentivoglio rappresentano solo alcune delle numerose opere di qualità che vengono realizzate a casa nostra. Cannes non ha quindi fotografato una rinascita ma una situazione dalla quale bisogna partire. Non per imporre agli spettatori il gusto, la merce più individuale che esista, ma la qualità, attraverso la quale il gusto si forma e non si disperde più.

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