Il Caso Belle Steiner: Jacquot si conferma maestro delle trasposizioni rendendo ancora più attuale Simenon

La capacità di andare oltre al noir

Benoît Jacquot è un regista che da sempre sta alla larga dalla banalità e dai prodotti usa e getta. Pur creando un cinema di largo respiro, con storie avvincenti, riesce sempre a dare una propria ottica ben marcata anche alla rilettura e successiva trasposizione cinematografica di pagine più o meno importanti della narrativa. Lo aveva già dimostrato, per esempio, con À Jamais, film poco compreso o sottovalutato solo da coloro che non avevano letto il piccolo ma importante romanzo Body Art di Don DeLillo. Il film, passato quasi sotto silenzio, mi aveva all’epoca entusiasmato perché essendo un accanito fan di quel libro avevo trovato la personalissima versione cinematografica di Jacquot molto aderente all’opera dello scrittore americano. Non a caso ne scrissi una breve nota nella sezione dei film in breve(potete trovarla scorrendola qui Altri film in poche righe ) perché l’autore francese aveva stravolto la location e parte della trama rispetto all’originale andando però dritto al nucleo centrale. Lo stesso accade nella sua ultima opera, Il Caso Belle Steiner, in uscita il 13 marzo 2025, in cui, parere personale, si migliora e realizza un bellissimo noir rendendo ancora più attuale grazie all’uso del cinema ciò che aveva scritto Georges Simenon.

La Morte di Belle e le calunnie

La Morte di Belle fa parte dei romanzi americani di Simenon. In Italia Adelphi l’ha pubblicato nella propria biblioteca(è il numero 312) con la traduzione di Laura Frausin Guarino nel 1995, a distanza di 43 anni dalla sua uscita del 1952. Come già avvenuto in À Jamais, Jacquot trasporta la scena da una piccola città statunitense a una francese di oggi. Una studentessa, ospite della famiglia di un professore di matematica( nel romanzo è di storia e scienze), viene uccisa in casa in una notte di pioggia. Il delitto è misterioso, non si trovano né ragioni del gesto, né un credibile colpevole. La polizia inizia a focalizzare i propri sospetti proprio sull’ultima persona che vide Belle in vita, il professore che in quella sera era l’unico rimasto in casa. Inizia così un gioco al massacro nei confronti del protagonista, il quale non si è accorto di nulla e non sa fornire alcuna spiegazione sull’evento. Benoît Jacquot da questo incipit inizia a fare del romanzo un proprio film. Si appropria di Simenon, crea un vero e proprio incubo psicologico che devasta le sicurezze sia dell’insegnante sia di chi gli sta attorno. È il sospetto che si muove a poco a poco, è la calunnia di chi lo ha già condannato, è il suo non sapere reagire, il suo restare in apparenza immutabile di fronte agli eventi. E il regista va oltre: innesta un autentico procedimento hitchcockiano, omaggiando quasi in modo spudorato La Finestra Sul Cortile. Il guardare e l’essere guardato, passare da soggetto a oggetto fino a perdere tutte le certezze individuali. Il sospetto come accusa.

La teoria delle probabilità

L’eroe o presunto tale di Jacquot è un uomo di numeri. Cita la teoria di Levy e quella della probabilità da realizzare con il gioco. Ovvero individuare, come dice il protagonista, un eccellente Guillaume Canet,<< un punto fermo per trovare un equilibrio >>. Sarà proprio questa ricerca ossessiva a far svoltare il Il Caso Belle Steiner verso un finale che pur essendo diverso dall’originale del romanzo , lascerà intatto il senso di provvisorietà, di sgomento, di sorprendente indefinito. Come se il professore cercando in modo affannoso il punto fermo della propria esistenza perda la propria identità, diventando terzo a egli stesso. È il terrore che si insinua nella psiche di essere ciò che non sapeva. Il Caso Belle Steiner si basa tutto su questa ambiguità.

Un film molto personale

Credo che La Morte di Belle sia destinato a essere anche e soprattutto un film molto personale e sentito da parte di Jacquot, accusato e messo sotto processo per violenza nei confronti di alcune sue attrici( il caso è esploso fragorosamente a Cannes quest’anno). Quell’esperienza, il film è precedente allo denuncia pubblica dello scandalo, deve averlo toccato a tal punto che si è quasi immedesimato nel personaggio di Canet e del romanzo, mostrando il travaglio che dalla presunta calunnia porta alla progressiva perdita di certezze. Sono i dubbi imposti che devastano, che rendono impotenti, che conducono alla follia.

L’unica certezza: un’opera da non perdere

Il film è da non perdere. L’ho trovato bellissimo, importante, coinvolgente pur nel suo ritmo veloce, nell’assenza di inutili lungaggini o perdite di tempo. Si entra nell’incubo individuale, nella sensazione di apnea di non sapere più chi essere, di sentirsi estranei al mondo che ci circonda. Guillaume Canet è interprete di enorme ambiguità, ovvero ciò che deve essere il suo personaggio: è intenso, misurato, profondo. Canet passa dallo stupore alla preoccupazione, dalla tranquillità dell’innocenza, all’allucinazione. È una prova attoriale maiuscola, sentita e credibile in ogni frangente. Charlotte Gainsbourg non gli è da meno. È una donna forte-nel film vende occhiali e non è particolare da poco-, unico appiglio su cui possono reggersi le sicurezze del marito. Anche lei entra nella spirale di questo Vertigo hitchcockiano, in cui tutto crolla mentre attorno a loro, per dirla alla De André, << la maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo>> con i sorrisetti ironici della borghesia del luogo, gli amici e i parenti che a modo loro stanno vicini per allontanarsi e tutto il circo mediatico che ne consegue. Jacquot stravolge il finale del libro ma così facendo ne accentua il senso più profondo. Perché non contano i colpevoli o gli innocenti ma ciò che possiamo diventare e ciò che può riemergere dai nostri luoghi oscuri. Un gioco, appunto, per trovare o perdere, in maniera definitiva, il nostro equilibrio. Assieme a La Notte del 12 di Dominik Moll(anche questo lo si trova in nota inAltri film in poche righe) Il Caso Belle Steiner è il miglior noir francese degli ultimi anni.

Condividi!