Autore raffinato, profondo, a volte complesso, di sicuro lontano dalla banalità ALEKSANDR SOKUROV con l’opera presentata alla Mostra del Cinema di Venezia , FRANCOFONIA, dà l’impressione di essersi divertito nell’ avere realizzato un lavoro che va al di là del concetto puro e semplice di cinema. Perché dimostra nel miglior modo possibile quanto il mezzo possa espandere il proprio utilizzo. FRANCOFONIA, infatti, è un continuo saltellare tra la dichiarazione d’amore nei confronti dell’arte, dei valori occidentali, intesi come cultura, della storia, dell’uomo, per abbracciare, involontariamente, persino l’intento pedagogico. Dal film lo spettatore esce arricchito senza bisogno di arrovellarsi nel comprendere il significato più o meno nascosto di certe citazioni o di rimandi o di reinterpretazioni. Siamo quindi ben distanti dalle magiche difficoltà con le quali l’autore russo, prendiamo il caso del suo stupendo FAUST, imprigiona e ingarbuglia i fili mentali di chi è disposto a farsi condurre nel suo meraviglioso spazio psicologico. In FRANCOFONIA l’unico invito che si può rivolgere a chi osserva è quello di liberare la mente, di essere aperto e fiducioso. Al resto ci pensa SOKUROV stesso prendendo per mano per accompagnare, mettere in guardia, far riflettere sempre rivolgendo un sorriso, perché l’opera è sì un grido di allarme ma allo stesso tempo, appunto, un atto di fiducia sul significato dell’arte e della storia, in definitiva dell’uomo.
SONO vari i piani temporali sui quali si muove questa mano: c’è il racconto, risaputo, del rapporto di complicità che negli anni dell’occupazione nazista di Parigi si venne a creare tra il direttore del Louvre Jacques Jaujard e il conte Wolff-Metternich che per conto degli occupanti doveva occuparsi della salvaguardia delle opere d’arte nei territori conquistati. Un interesse, quello nazista, spesso poco puro perché la sottrazione, per abbellire mettiamo qualche salone a disposizione dei gerarchi, era all’ordine del giorno. L’incontro tra i due permise non solo la creazione di un solido rapporto d’amicizia proseguito anche nel periodo postbellico ma il salvataggio di opere che altrimenti avrebbero preso altre strade. Se il Louvre è giunto ai giorni nostri con i suoi capolavori intatti è soprattutto merito di questo strano binomio.
C’È quindi in FRANCOFONIA l’incontro tra due funzionari dello Stato, entrambi disposti a tutto pur di mantenere in vita l’arte che non è soltanto un quadro importante ma la storia stessa dell’umanità. E, allo stesso tempo, SOKUROV ci mostra in alternanza un mercantile alle prese, ai giorni nostri, con una tempesta. Una nave che trasporta, guarda caso, opere d’arte e che si avvia al naufragio quasi navigasse sopra la fossa delle Marianne che non è solo una depressione fisica ma il nome di colei che nel dipinto di DELACROIX incarna gli ideali repubblicani << libertà, uguaglianza, fraternità >>. Ed ecco quindi che nelle varie realtà che SOKUROV ci propone ci appare il fantasma di Marianne che aggirandosi per le sale scandisce quelle parole piene di significato mentre la nave, quasi fosse la Zattera della Medusa di GÉRICAULT, è in balia della tempesta perfetta, forse quella che si sta abbattendo sui nostri valori e dei quali il Louvre è il custode più prezioso. Nel mondo ideale di SOKUROV il museo diventa qualcosa che va al di là di stanze, sale ed esposizioni. È ciò che è oltre il tempo, che lo fissa, che ci narra, ci dice chi siamo e chi siamo stati. Ci parla della gente, degli sguardi, delle sofferenze, delle gioie, della bellezza, delle tragedie. Non è casuale che l’autore faccia un riferimento ben preciso alla superiorità dei valori europei domandandosi come mai l’arte musulmana storica non contempli la ritrattistica e quindi rinunci per principio a penetrare nella profondità dell’essere umano.
FRANCOFONIA non è puro esercizio di stile ma il suo opposto. La grandezza del film è nel saper coniugare in modo geniale- sempre in bilico tra l’invenzione, l’esegetica, il colpo a sorpresa di alleggerimento delle riflessioni- l’ansia di mostrare la bellezza con quella di spiegare l’uomo e la sua relazione con la storia. La forma non tradisce il cinema di SOKUROV. Anzi lo rende ancora più interessante con l’uso di colori che continuano a cambiare, con il film che entra in un altro-quello che tratta della relazione tra Jaujard e Metternich- e che poi ci fa navigare in immagini di repertorio, autentiche e ricostruite, e altre nelle quali passato e il presente vengono mostrati assieme proprio per rafforzare il senso di appartenenza alla storia dell’umanità. Non manca nemmeno il grido di dolore per ciò che il mondo da cui SOKUROV proviene, l’oriente europeo, ha perduto a causa delle guerre e che non è stato in grado di mantenere quasi avesse perduto quegli ideali occidentali senza i quali non esisterebbero memoria, rispetto e conoscenza. << C'est moi >> recita in continuazione il fantasma di Napoleone nel film, conscio che se esiste il Louvre con i suoi capolavori gran parte del merito è suo. << Il est Sokurov >> scrivo io, sapendo che solo un regista con una sensibilità e cultura superiori poteva offrirci un film del genere, splendido e sapiente, fuori da ogni schema. Da conservare perchè è lezione. Di vita soprattutto.