ELLE di Paul Verhoeven è un film molto interessante, forse non perfetto ma capace di tenere incollato lo spettatore allo schermo, di farlo vivere all’interno di una storia che non è mai scontata, che sorprende ad ogni passaggio di scena, che riserva continui cambi di ambientazione e soprattutto registro. Se a questo si aggiunge l’interpretazione di Isabelle Huppert, ormai da tempo una delle migliori attrici mondiali e sicuramente la migliore in assoluto per le parti nelle quali sia necessario mostrare le mille sfaccettature della personalità, diventa molto semplice spiegarne il successo. In mani sbagliate il soggetto di Elle-libera trasposizione del romanzo Oh di Philippe Djian– avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di cupo o morboso, di oppressivo. Invece la capacità del regista olandese sta proprio nell’estrema naturalezza con cui giostra i vari piani narrativi, mischiandoli, confondendoli, restando sempre a un passo di rassicurante distanza dall’eccesso di partecipazione o dall’esasperazione degli accadimenti che si susseguono nelle due ore e dieci di proiezione.
IL PRIMO punto da quale è necessario partire per sgombrare il campo dagli equivoci è che non si tratta di un film su uno stupro e relativa vendetta da parte di chi lo ha subìto. Semmai questo è il semplice dato di avvio, lo spunto che serve alla storia per evolversi e incamminarsi per sentieri inattesi. La realtà è che in Elle ci troviamo a navigare su una barca che solca un mare dove colpevolezza e innocenza costituiscono la schiuma omogenea delle onde. Nello sciabordio viene esaltata la grandezza di Verhoeven che diventa fotografo dei comportamenti umani più che psicologo in vena di distribuirci una morale. Non si tratta però di una fotografia superficiale, limitata alla pura, semplice, asfittica osservazione. Verhoeven muove i personaggi come vuole lui e proprio attraverso ciò che fanno riesce nello scopo di radiografare con sarcasmo, ironia e una bella dose di crudeltà le contraddizioni dell’individuo. Un po’ Haneke– non solo per la presenza di Huppert– un po’Chabrol, il settantanovenne olandese si diverte come un matto-e diverte- nel fare a pezzi progressivamente tutti i luoghi comuni legati alla violenza. Quella sessuale si trasforma quasi in un gioco motivato dalle ragioni profonde di chi la subisce e di la chi mette in atto; quella sociale dalle più scontate e risapute finzioni della borghesia. Non è un caso che assieme allo stupro al centro del film ci sia la civiltà dei videogame, qui visti come strumenti di induzione, dove l’evasione non è tanto nella dinamica del gioco quanto nel godimento che viene offerto proprio dalle scene in cui il giocatore può far sgorgare non solo metaforicamente il sangue.
In questo scenario si muovono tutti i protagonisti di Elle, chi in modo diretto, chi in modo indiretto. Ognuno lambisce qualcosa di violento e si porta appresso un fardello oscuro, che ha segnato la loro esistenza. È un campionario umano, quello che ci propone Verhoeven, devastante: Michelle-il personaggio molto complesso e variegato di Huppert-è figlia di un serial killer dal cui fantasma sembra essere formalmente fuggita diventando una ricca e affermata produttrice di videogame. La maschera con la quale gira per il mondo è severa, dura, intransigente, sprezzante anche nell’ironia. È separata da uno scrittore squattrinato con il quale mantiene un rapporto molto forte, dettato dall’ansia del possesso; ha un figlio mai cresciuto, una madre incapace di invecchiare, un padre all’ergastolo e qualche amante occasionale che serve a consumare sesso mordi e fuggi. È nel suo subbuglio interiore che Michelle diventa dopo poche scene l’eroina del film. Nella sua esasperata ricerca di libertà e anche di dominio si cela la disperazione di chi è impossibilitato a scacciare il passato pesante di cui è stata vittima. Più che peccatrice originaria, Michelle è un innocente che sconta peccati non suoi ed è un bellissimo ritratto femminile che in modo naturale viene portato a essere attratto proprio da ciò da cui cerca di fuggire. Lo choc per la violenza subìta nell’incipit del film diventa anche l’attrazione verso chi, sul lato opposto, ha una personalità turbata, anch’essa incapace di di relazionarsi in modo usuale con l’altro sesso. D’altronde i personaggi che circondano Michelle non sono migliori: ognuno ha il proprio lato nascosto; ognuno porta nel mondo la propria dose di finzione. Il merito di Michelle rispetto agli altri è quello di sapere, di conoscersi, di non fingere e sarà lei a creare quella catarsi universale capace di mettere a nudo un mondo intero; a suo modo di riportare il tutto nell’ordine naturale delle cose.
RITRATTO senza sconti e senza compiacimenti di quella borghesia che Verhoeven ha sempre trattato nelle sue opere-spesso travestite- Elle è un’ubriacatura di sensazioni piacevoli mai disturbanti, semmai stimolanti proprio per la capacità dell’impianto e di chi lo dirige di alleggerire qualsiasi pesantezza e di usare l’arma graffiante dell’ironia, rivolta anche a Chiesa e fede, ad ogni piè sospinto. Per contro il limite del film potrebbe essere quello di mettere molta carne al fuoco correndo il rischio di perdere a volte incisività e di limitare l’effetto a sorpresa. È un piccolo appunto-peraltro personalissimo- che non inficia per nulla l’equilibrio globale di una delle migliori produzioni cinematografiche degli ultimi anni, dove Verhoeven, solca, con modi e arte diversi sia chiaro, sentieri cari a Bunüel. Perché quando si dice che in Elle i temi base siano la perversione o il desiderio si offre solo un ritratto molto limitato di un’opera ben più profonda e assai meno scontata. Qui Verhoeven prende la violenza non per mostrarla: la usa per spalancare la voragine morale che scandisce l’esistenza dell’individuo e di una società che ha perduto qualsiasi punto di riferimento, che è orfana, bambocciona come il figlio della protagonista e che ha bisogno di uno choc, catartico appunto, per recuperare un senso. Quanto a Isabelle Huppert c’è realmente poco da segnalare: ogni aggettivo ormai è stato usato per descrivere la sua bravura. In Elle, per l’ennesima volta, è superba a tal punto da esaltare e non oscurare il film stesso. Al mondo non esiste nessuna come lei nel saper trattare certi personaggi, nel comprenderli e nel renderli intelligibili. Pura essenza di attore e di cinema.