Non è scandalosa la notizia delle bocciature al concorso per diventare magistrati. Non è nemmeno così straordinario che i commissari abbiano cassato alcuni giovanotti per la mancanza di conoscenze grammaticali. E’ lo specchio dei tempi. Accade in tutte le professioni, persino nel giornalismo: molta gente non sa scrivere, confonde congiuntivo e condizionale o è piatta come un mare sul quale spira la bonaccia. Credo sia il prodotto di una cultura dell’accesso alle professioni che ha per lungo tempo privilegiato la specializzazione a scapito di quei concetti di cultura generale che ai nostri tempi nel bene e nel male ci venivano impartiti dalle scuole medie superiori e dal liceo classico in particolare. E’cambiato il modo di essere bambini. Le favole sono un ricordo lontano, i genitori stentano a rammentarsele perché provengono da una generazione che non le ha lette, così come hanno preferito non leggere i classici, non calarsi nelle realtà romanzesche, disinteressarsi dei movimenti culturali antichi e contemporanei. Il tarlo della civiltà dell’immagine, dell’apparire e dell’essere per apparire ha spogliato intere generazioni del gusto della lettura. Quando ci si vanta di non avere letto un solo romanzo in vita, quando non ci si informa, quando le uniche spinte all’interesse provengono da una visione è difficile poi poter tradurre le proprie emozioni o i propri ragionamenti sulla pagina scritta. Sono i peccati mortali del sistema Italia. Gli imprenditori spesso richiedono lauree e master ma appaiono del tutto indifferenti al fatto che i giovani sappiano o non sappiano come va il mondo, cosa accade, quali siano le tendenze generali. E’una sorta di << cash&carry >> professionale: assumo o pongo sotto contratto gente che ha orizzonti limitati, che mi serve allo scopo e che non mi consentirà di effettuare alcun salto qualitativo. Prendo ciò che mi serve all’istante, non ciò che mi farà crescere col tempo. E’ per questa ragione che la mia generazione si trova male nel sistema lavoro di oggi: non essendo richiesta qualità ma stupida quantità si sente sminuita, annullata nel proprio potenziale, disillusa. Si adegua con enorme fatica e un certo spirito di contraddizione peraltro mal sopportato dai vertici. L’altro giorno sull’inserto lettario della << La Repubblica >> leggevo un’intervista con uno scrittore. Candidamente ammetteva che uno dei suoi esercizi quotidiani era il ricopiare un capitolo di qualche romanziere a lui gradito. Farlo non è solo questione di tecnica della scrittura . E’calarsi in un’altra mente, entrare nei suoi meccanismi psicologici di costruzione, di uso del linguaggio, di improvvisi colpi di genio. E’imparare ad acquisire quella fluidità che per chi scrive è fondamentale.In un altro articolo di commento ai primi dieci libri dell’anno un’opinionista sosteneva che il livello letterario di alcuni tra i più noti narratori italiani è prossimo allo zero. Ne salvava pochissimi. Non per salire in cattedra ma accade spesso di trovare nei testi da << hit parade >> errori da segnare con la matita rossa. Esistono scrittori che cercano trame intriganti ma non le sanno evolvere perchè non sanno scrivere, non posseggono quella capacità di usare più registri che gli autentici narratori posseggono. Anche loro, a livello << elevato >>, hanno lo stesso problema dei nostri aspiranti giudici: non avendo mai letto o avendo letto poco e male non sanno scrivere. Ma la prima domanda che gli editori, quando consegni un romanzo, ti pongono è questa: a quale genere appartiene il suo libro? Che poi sia scritto bene, male o così così è un problema secondario. Spesso si dice che la responsabilità sia della televisione: è una bugia. Semmai la cattiva televisione di questi anni è una conseguenza dello status quo. In molti, per esempio, si dimenticano che la televisione ha alfabetizzato l’Italia e che la lunga stagione degli sceneggiati televisivi ha avvicinato libri alla gente, invogliandola ad acquistarli e a leggerli. E’ la televisione di oggi a essere sbagliata. Non il mezzo che, invece, è ideale per promuovere la lettura. Cito infine un episodio personale. Un giorno mi dissero che ero molto bravo perché riuscivo a trattare più argomenti diversi con la stessa facilità con la quale mi occupo di motorismo. Risposi che non si trattava di bravura: è che da bimbo ho letto tutto Fedro e Esopo, ho sognato con Dumas padre e figlio, ho viaggiato con Verne e con lui ho spiccato il volo per arrivare a Beckett e Borges, per non fermarmi mai in quello splendido divertimento che è la lettura. Che mi ha aperto spazi mentali, mi ha permesso di guardare con senso ironico al quotidiano e alle sfighe, di avvicinarmi meglio alle sensazioni degli altri. Di salvare parte dell’esistenza attraverso la scrittura di cose che forse mai verranno pubblicate ma che mi servono, mi aiutano a sopravvivere.