ROMAN POLANSKI non sbaglia un film. Gli è sempre stato impossibile cadere nel banale o allontanarsi da una sfavillante fantasia unita alla precisione, alla cura dei particolari. È un’icona del cinema contemporaneo, passeggia sui generi, li appallottola come fossero fogli di carta, li lancia agli spettatori, usando l’intelligenza e lo sberleffo, il divertimento della ragione. Anche << Venere in pelliccia >> non sfugge a questa regola. Dopo il << massacro >> sociale del delizioso << Carnage >> Polanski sembra quasi averci preso gusto a realizzare cinema da << camera >>, ambientato in un solo luogo e con pochi protagonisti. In << Carnage >> erano due coppie, qui addirittura una. Ma il risultato è potente: per oltre un’ora e mezza << Venere in pelliccia >>, tutto girato all’interno di un teatro, è un incontro di fioretto e di scherma tra due attori in splendida forma e bravissimi, Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric, che dura il soffio di un respiro e lo scintillio di un cervello che funziona a meraviglia.
È una Parigi buia, plumbea quella ripresa dalla soggettiva iniziale. Si procede lungo un viale, si volta a destra, si varca l’ingresso di un teatro, alla cui insegna manca l’H di theatre. Strana insegna questa.H sta per caso per Homme? Le porte si spalancano e si rinchiudono. Un regista sta parlando al telefono. Si lamenta dell’incapacità delle attrici che ha sottoposto a un provino. Ignoranti, rozze, fuori dal tempo. L’occhio che segue la scena è quello di Emmanuelle Seigner.Un’attrice in ritardo, nemmeno prevista nella lista delle audizioni. Avvenente ma volgare, vestita di poco, bagnata fradicia, con un linguaggio sboccato. Anche lei è arrivata per il provino: c’è la parte di Wanda, caso strano lo stesso suo nome, da interpretare per una rielaborazione della << Venere in pelliccia >> di Leopold von Sacher-Masoch ad opera di Mathieu Amalric, Thomas, famoso scrittore e adattatore di drammi passato alla regia. Tra i due è incontro-scontro. Lei, in apparenza ignorante, insignificante attricetta in cerca di una parte più importante di quanto possa sembrare, lui, educato, imbarazzato, costretto alla fine ad ascoltarla. Ed è esplosione autentica. Arte e vita si mescolano battuta dopo battuta. Wanda stupisce Thomas. Burattino e burattinaio, parti fisse, precise che vanno a confondersi. La personalità della donna affronta quella dell’uomo. Gli recita alla perfezione l’incipit in una scenografia dove gran parte degli arredi sono presi a prestito da una precedente rivisitazione musicale di << Ombre Rosse >> ma non perde occasione per mettere Thomas di fronte a ciò che ha rielaborato. Come se il testo di von Masoch in realtà sia un’opera che proviene direttamente dalla mente del regista stesso. Una messa in scena dei propri desideri reconditi, delle proprie contraddizioni. È una sinfonia di riflessioni, un concerto di pensieri, di spoliazioni che la donna effettua sulla psiche di Thomas, tra una spiccata sensualità, una provocazione e la capacità di guardare oltre. Wanda trafigge Thomas-Severin fino ad annullarlo, a cambiarne il ruolo. Vittima e carnefice. Gioco delle parti in punta di piedi ma con costanza fino a una conclusione di assoluto ribaltamento dei ruoli, di porte di un teatro che si riaprono per poi chiudersi come conservare in un bozzolo quella vita e quella storia che le lancette hanno scandito sul palco.
FILM intelligente, bello, controcorrente, << Venere in pelliccia >> avrebbe meritato miglior fortuna a Cannes, dove è stato applaudito dalla critica ma è rimasto ingiustamente senza premi in una edizione di altissimo livello, dove a vincere non è stato il film migliore ( per me << Il Passato >> di Farhadi). Roman Polanski mette in scena non solo l’ossessione erotica o la guerra dei sessi. Fa allegoria dei ruoli di interprete e autore, crea una guerra nella quale si confrontano gli incubi privati. Il gioco di specchi funziona che è un piacere così come i due interpreti. Emmanuelle Seigner , sempre più bella, affascinante, è carica di capacità e di tensione erotica. Da moglie e madre dei figli di Polanski è un terminale stesso del proprio regista. Detta i tempi, decodifica la figura del proprio contraltare, un Mathieu Amalric che a poco a poco perde le proprie sicurezze, ammaliato dalle grazie dell’attrice, dalla sua impertinenza, dalla capacità di leggergli dentro. Un grande film nel quale le felici prove dei due attori si innescano alla perfezione. Dopo << Carnage >> prosegue quindi lo studio di Polanski sull’individuo. Nell’appartamento borghese di New York il regista polacco faceva a fettine l’istituzione famiglia. Qui va oltre: distrugge il simbolo maschile. Procede nella sua castrazione, lanciando un altro punto di domanda: la funzione dell’artista e delle sue frustrazioni espresse e travestite nell’opera che realizza.Con la pulsione erotica come base di ogni azione. Attendiamo la prossima puntata. Che sarà, seguendo logica, un altra tappa fondamentale della sua storia e di quella del cinema contemporaneo.
Voto: 8/10