DUE FRATELLI: Matteo, gay di apparente successo con splendido attico romano, imprenditore nell’arte e in affari con il vaticano; Ettore che è rimasto al palo, insegnante nel paesino, Nepi, che mai ha abbandonato. Malato senza saperlo. Euforia avrebbe potuto essere la storia lacrimevole del loro (re)incontro; l’ennesima versione strappalacrime del dramma borghese-ospedaliero, il romanzetto rosa rischio di certo cinema e certa narrativa. Per fortuna Euforia è ben altro. Merito di Valeria Golino, dei suoi sceneggiatori e dei suoi attori se il pericolo del banale non viene mai sfiorato se non nella scena conclusiva che comunque ci può stare, perché il cinema è anche sentimento e un finale capace di fare l’occhiolino allo spettatore non si nega a nessuno. Ma per il resto è ottimo film, uno dei migliori italiani dell’anno, recitato in modo superlativo da tutto il cast con in testa Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea, perfetti nel disegnare fratelli agli antipodi sia fisicamente sia intellettualmente. Euforia li mette a confronto in uno spazio fisico preciso: l’attico con doppio terrazzo e vista su via del Corso inclusa in cui Matteo porta il fratello malato. È qui che Golino traccia una netta linea divisoria tra i due. Una sorta di separazione sociale: colui che sembra il più debole viene inserito in un mondo altro, ritmato dal parossismo dell’eccesso. Il continuo uso di droghe, la ricerca del sesso per il sesso, il fare mattina per sconfiggere il peso del tempo, sublimare il terrore della morte. Ettore si ritrova terzo rispetto a un contesto che sembra non accettare, che non gli appartiene. Potrebbe essere la presa di coscienza definitiva di esistenze agli opposti. Quella rassegnata ed irrisolta di Ettore contro il crepitante dinamismo di Matteo. Invece tutto si ribalta: il confronto di status diventa l’occasione reciproca per perdere le certezze. Mettere a nudo le contraddizioni di Matteo e far cadere nelle stesse anche Ettore che a poco a poco va alla ricerca di una artificiale comfort zone individuale, sfruttando ciò che il fratello gli mette a disposizione. Il risultato è un progressivo e incessante cammino dei due verso una verità libera da sconti e autogiustificazioni.
EUFORIA traveste sotto mentite spoglie, la commedia brillante, il caos del contemporaneo. La bellezza che protegge la bellezza di cui parla Matteo all’inizio del film è in realtà il cappio allegoricamente legato al collo di una società paternalistica capace solo di proteggersi da se stessa attraverso un fare che non porta a nulla se non a voler allontanare i propri fantasmi. È una doppia malattia che scandisce il percorso di conoscenza tra i fratelli. Quella di Matteo è sociale. È un malessere evidenziato dalle droghe, dalla vacuità delle notti romane, dal falso movimento dei suoi protagonisti, veri e propri ammalati di noia. Per Ettore c’è quella fisica, terminale di un’esistenza anch’essa irrisolta, vissuta a metà e con paura. L’euforia in senso stretto è il Caronte che dopo essere servito a coprire il vuoto li condurrà all’accettazione e al riconoscimento.
IL FILM è ottimo: come scritto Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea sono scelte azzeccatissime da parte di Valeria Golino. Il primo offre una delle sue prove migliori. È eccellente nel cambio di espressioni, nel mettere al centro del personaggio di Matteo la sua ricerca di sentimento, il suo egoismo, la prepotenza e lo sforzo di uscire dalla maschera che si è dato. Trasuda vivacità, non scade mai in nessuna scena al ruolo di macchietta, è profondo. Mastandrea è il solito strepitoso attore di poche parole, molti sguardi, lunghi silenzi. Assieme i due formano una delle coppie meglio assortite del cinema italiano e bene ha fatto Golino a unirli. A volte, ed è un merito, persino lo spettatore avverte che tra i due la chimica è assoluta, che di fronte alla macchina di presa ci sono attori che stanno divertendosi, che amano il loro ruolo. Il resto è un tripudio di ottima recitazione: da Valentina Cervi a Isabella Ferrari, da Marzia Ubaldi, bravissima nel ruolo di madre, a Jasmine Trinca fino a Andrea Germani, l’unica figura pura nell’universo di Matteo. Riuscitissimo è anche lo spaccato romano che Valeria Golino mostra, esaltando l’ansia che si nasconde dentro il caos, facendoci partecipi di questo affanno in un film divertente, intelligente, raffinato.