È un Paolo Virzì col freno a mano tirato quello che ha diretto Ella&John, primo film Usa dell’autore livornese. Non convince infatti la storia dei due anziani, uno in senescenza,l’altra alle prese con un cancro, che fuggono da casa per cercare di raggiungere la villa di Hemingway a Key West. Se non vi recitassero Donald Sutherland e Helen Mirren non ci sarebbe nemmeno l’onere di prendere in considerazione un’opera assai minore di un regista che di fronte alla produzione straniera all’improvviso ha perduto sia la capacità di graffiare sia i colpi di genio che gli sono tipici da sempre. Tutto infatti in Ella&John è troppo scontato sia nella trama sia in quelle che sono le motivazioni psicologiche dei personaggi mossi da una sceneggiatura elementare e didascalica, in cui l’uso dei dialoghi è eccessivo così come i rimandi letterari sembrano messi lì apposta per prendere tempo e per non consentire la creazione di quelle zone d’ombra sui caratteri che servono a incuriosire, a riflettere, a creare pathos. Tutto è trasparente fin dalle prime battute e nulla, nel corso del film, è ideato per cambiare direzione. Il viaggio di Ella e di John sul loro vecchio Winnebago si trasforma quindi in on the road trito e ritrito a cui non servono la splendida fotografia e una regia come sempre di alto profilo per annoverarlo tra i lavori indimenticabili dell’autore italiano.
È un peccato: come se gli Stati Uniti abbiano tarpato le ali a Virzì, costringendolo ad un approccio elementare che non gli è proprio. Speravamo ci fosse una sua visione dell’America, un uso della storia individuale della coppia in grado di offrirci uno sguardo personale ed ispirato, controcorrente, arguto e non limitato al puro sentimento da appendice. Del regista mancano persino gli sberleffi mai fini a se stessi, figli di un’intelligenza che sa scavare nel profondo. Siamo quindi lontani dall’ispirazione di almeno quattro tra le sue migliori opere precedenti, Tutta la Vita Davanti,La Prima Cosa Bella, Il Capitale Umano e La Pazza Gioia, una differente dall’altra ma dotate di una capacità di riflessione che denotano la grandezza dell’autore.
Qui Virzì è alle prese con la percezione del fine vita. Quella che provano gli anziani quando sentono che si sta avvicinando il momento. È un tema usato al cinema, basti pensare allo splendido Amour di Haneke, manifesto del genere, così come il viaggio che irrimediabilmente porterà a una meta definitiva. Ma più che usare tenerezza nei confronti dei suoi due protagonisti il film non fa. Accenna l’inversione di ruoli tra genitori e figli ma appunto è solo un accenno che si perde nella trama. Il resto è una ripetizione di avvenimenti già visti. Che divertono sia chiaro ma che nulla aggiungono e che non riescono a offrire a Ella&John un proprio carattere preciso:in questo modo resta un on the road movie sulle ali della nostalgia dove la bellezza dei paesaggi da cartolina turistica contrasta con la tragedia di essere vecchi alla ricerca di memorie da offrire a uno smemorato e di una vitalità sopra le righe che giustifichi gli ultimi giorni. I due percorsi, fisico il viaggio, e quello psicologico restano sempre sulla stessa linea di mezzeria,coesi; non c’è mai uno scostamento, una modifica, uno svoltare. Così il film, in alcuni momenti, rischia di diventare noioso perché troppe scene sono l’una uguale all’altra. È un aereo che non raggiunge la quota desiderata. Non precipita sia chiaro perché alla cloche c’è Paolo Virzì che è un fuoriclasse ma che qui sembra essere intimorito dalla grandezza di Mirren&Sutherland e da una nazione-continente che ancora preferisce non decifrare.