Metacinema riuscito a metà

7-psicopatici.jpeg MARTIN MCDONAGH aveva realizzato qualche anno fa <<In Bruges>>una piccola chicca cinematografica, profonda quanto ironica, divertente, un po’folle come si conviene ad ogni irlandese a denominazione d’origine controllata. Quel film aveva ottenuto un ottimo successo di pubblico, critica e all’unanimità McDonagh era diventato uno di quegli autori da seguire. Attesa con curiosità la sua seconda pellicola è uscita in questi giorni sugli schermi italiani con un titolo che già di per sé stesso lascia qualche perplessità:<<7 psicopatici>>. Va bene: un titolo, soprattutto se tradotto dagli italiani, spesso è una libera reinterpretazione del soggetto. In questo caso invece no, il titolo anche nell’originale è proprio questo e i <<7 psicopatici>> sono i personaggi potenziali di una sceneggiatura che il sempre in gran spolvero Colin Farrell vorrebbe scrivere ma che non riesce mai a portare se non a compimento almeno in stato avanzato. E così capiamo ben presto che siamo dentro un film nel film, una operazione metacinematografica che è sempre difficile rendere credibile e vivace. Già bisogna essere degli esseri speciali  a cercare di incastrare i romanzi nei romanzi-la metaletteratura è materia per geni o per scrittori superbi-figurarsi giocare all’interno di un film quando la parola e le iperboli non possono aiutarti più di tanto. McDonagh ci prova, non sempre ci riesce, ma alla fine propone un film che al di là di qualche lungaggine nella seconda parte regge abbastanza. Una promozione, quindi, con la sufficienza e non di più, non certo con la lode come era accaduto nel già citato <<In Bruges>>.

BRUTTA COSA la pausa <<creativa>> degli artisti, degli scrittori soprattutto. Il magnifico Colin Farrell, solito volto espressivo da canaglia intelligente e della quale ci si può fidare, è appunto uno sceneggiatore, dedito a qualche birra di troppo, a una moglie australiana noiosa e pesantuccia, all’amico attore Sam Rockwell che per sbarcare il lunario sequestra i cagnolini che trova e assieme all’immigrato polacco Christophen Walken raccatta qualche mancia dai parte dei legittimi proprietari. Il problema di Farrell è dare un senso alla sua idea:creare un film su un gruppo di psicopatici. All’inizio pensa che tutto debba partire da uno psicopatico buddista, poi cambia religione, chesso uno yiddish ma Rockwell gli consiglia di mettere un annuncio per ricevere storie da parte di chi si ritiene psicopatico e ha commesso efferati delitti all’apparenza senza senso. Ed arriva Tom Waits in compagnia di un coniglietto, retaggio della sua ultima impresa di qualche decennio fa, l’uccisione di Zodiac che viveva isolato come un hippy deluso dalla vita. Waits inizia a raccontare una storia che in qualche modo ha attinenza con una che Farrell aveva immaginato qualche scena prima e che ci riportava alla mente il capolavoro di Charles Laughton-unica sua prova di regia-<<The Night of Hunter>> che nel 1955 rappresentò anche la migliore interpretazione mai resa da uno stratosferico Robert Mitchum. Da qui il film, <<7 psicopatici>> chiaro, riparte per un viaggio allucinante in un  crescendo di citazioni e di rimandi modificati da McDonagh su molte cose viste o intraviste. Notiamo per esempio un cimitero con lapidi e oscurità che possono rammentare <<Mezzanotte nel giardino del bene e del male>> di Clint Eastwood, o altre scene di duelli e sparatorie <<psicopatiche>> che fanno l’occhiolino ai film di genere. Insomma il regista si diverte ma non incastra perfettamente il tutto e alla fine a rendere accettabile <<7 psicopatici>> sono proprio gli attori.Perché il gioco è fin troppo scoperto, si comprende man mano che si procede con la visione, dando l’impressione allo spettatore che ci si trovi di fronte a una storia alla fine trita e ritrita, dove i personaggi del reale diventano nella testa dello scrittore i protagonisti del film che ha in testa.

NON TUTTO  è da buttare. Farrell, Rockwell, Walken, Waits e  Woody Harelson   valgono da soli il prezzo del biglietto e rivaleggiano non solo nei <<no sense> e nelle battute a raffica ma nelle espressioni, nelle caratterizzazioni degli stereotipi con i quali McDonagh cerca di farci divertire. Ma resta forte l’impressione che si tratti di un <<gioco>> sfuggito di mano, dove la pragmatica del soggetto venga perduta, dove sfugga al regista la base di partenza dalla quale aveva ottimamente iniziato-una scena bellissima come incipit con due killer ( uno è Michael Pitt) che discorrono sotto la collina di Hollywood in attesa di far fuori una ragazza e che vengono ammazzati da uno psicopatico specializzato nell’uccisione di chi lo fa di professione- e diventi poi incapace di mantenere ritmo e logica narrativa tra la crisi della creazione artistica, il travaglio di chi si è infangato fino al midollo dentro un soggetto e l’evoluzione della storia stessa. <<7 psicopatici>> è consigliabile a chi vuole sorridere e a volte ridere, se si esclude un eccessivamente lungo bivacco nel deserto. Ripeto il cast è una bomba ad orologeria. Lancia tappi di champagne e schiuma frizzante, purtroppo verso il non si sa dove.

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