LO DEFINIVANO l’ angelo di Carditello, perché Tommaso Cestrone, di professione allevatore di cavalli, senza alcun compenso e di sua spontanea volontà si era preso la briga di salvare dalla noncuranza, dallo scempio, uno dei gioielli architettonici e artistici del casertano, appunto la residenza di caccia dei Borbone. Carditello come ragione di vita e come lotta contro la burocrazia, la camorra, il malaffare. Senza l’opera appassionata e vitale di Cestrone non sarebbe mai stato possibile l’intervento di tutela del ministero dei beni culturali, che entrò nella gestione della reggia nel gennaio del 2014. Un evento di cui Cestronenon fu testimone: per pura beffa del destino morì la notte di Natale del 2013. Aveva quarantotto anni.Questo era il primo tassello a disposizione del regista Pietro Marcello che in quel periodo stava girando un’opera ispirata al libro di Guido Piovene Viaggio in Italia e che per appartenenza territoriale-è casertano- conosceva benissimo la storia di Carditello e del grande lavoro che Cestrone stava svolgendo da solo;una lotta senza quartiere. Un uomo giusto contro tutti. Quella morte improvvisa, però, aveva sconvolto i piani originari. Nella mente di Marcello, quindi, ha iniziato a prendere corpo un’idea geniale e del tutto controcorrente: prendere il caso dell’angelo di Carditello come pura metafora dell’individuo che cerca di combattere e di salvare dalla decadenza fisica e morale la propria terra. Per farlo Marcello aveva vari percorsi di fronte: avrebbe potuto intraprendere le più semplici e dirette, creare un docufilm o una storia incentrata su un singolo ben identificato che lotta contro il disinteresse e l’incuria. Marcello ha scelto una via impervia, dove sarebbe stato facile sbagliare: si è affidato alla fantasia, alla fiaba, al racconto nel quale onirico e reale si intersecano, camminano assieme, si separano, si riuniscono. Sposta quindi l’ottica seguendo l’esempio dei classici della fiaba: dando voce e occhi a chi umano non è.
SCRITTO assieme a Maurizio Braucci, montato e coprodotto dalla fedele Sara Fgaier, Bella e Perduta non è soltanto la riflessione su ciò che è l’Italia ma si spinge oltre proprio perché il ricorso a personaggi favolistici consente di allargare l’orizzonte. Nel film è un bufalo, Sarchiapone,a parlare. Di lui vediamo persino le soggettive. E assieme all’animale spunta la maschera di Pulcinella che, nel solco della tradizione, avendo la capacità di poter parlare con i morti è stato chiamato per salvare da sicura fine l’animale che come tutti i maschi di bufali non serve a nulla e quindi deve essere eliminato. Così la storia diventa un viaggio tra queste due entità capaci di riconoscersi l’una nell’altra. Perché in fin dei conti bufalo e maschera sono entrambi condannati dalla loro stessa natura: essere entrambi delle vittime passive dell’uomo. L’uno in quanto bestia, l’altro in quanto maschera usata solo per servire gli altri. Nel loro viaggio alla ricerca della salvezza incontreranno pastori, altri animali, mentre sullo schermo si alternano, improvvise, repentine, le immagini d’archivio del passato, quelle delle devastazioni, degli incendi nella terra dei fuochi, le testimonianza filmate dell’erosione di un sud che sembra non avere alcuna speranza, dove la bellezza è deturpata, erosa, vilipesa, volutamente sfuggita di mano. Pietro Marcello cita l’amato Pasolini. In Bella e Perduta ho invece captato l’eco di un film che ho amato- participio riduttivo- Giro di lune tra terra e mare di Giuseppe Gaudino, non per niente anch’esso ambiento in Campania- Pozzuoli e il bradisismo- e anch’esso in bilico tra realtà e favola e con un tipo di montaggio e di alternanza tra queste due situazioni molto simili.
IL VIAGGIO di Pulcinella e Sarchiapone è una fuga verso un territorio dove ci si possa salvare. Maschera e animale sanno comprendersi, parlarsi. Sarchiapone, il bufalo, ha occhi con la visione critica del mondo, capaci di mettere a confronto ciò che dovrebbe con ciò che è. Forse per questo l’animale sa che non sarà in terra la salvezza. Quello di Pulcinella, invece, è uno sguardo acritico. Ha un compito, deve portarlo a termine. Sarà la tentazione di entrare tra gli umani, di gettare la maschera a far mutare il corso degli eventi. Nel film di Marcello gli esseri viventi lottano per acquisire insperate libertà. Ma solo la terra e la natura detengono il vero potere ed è questa continua relazione tra ambiente e ciò che è contenuto in esso a fornire senso al tutto. Favola amara di lotta e di riflessione sull’uomo e non solo sull’Italia, Bella e Perduta è uno di quei film nei quali bisogna immergersi anche con l’epidermide. Senza corpo e anima non lo si può gustare nella propria totalità. Non è un film perfetto ma è uno di quelli che restano dentro e che non si dimenticano. Un paio di immagini come esempio: la scena dei Pulcinella nel loro quartier generale nelle viscere del Vesuvio che hanno messo in gabbia Arlecchino o l’immagine dell’albero della morte oltre il quale non c’è vita e che mi ricorda non so se un vecchio incubo o una di quelle favole di Esopo che divoravo da bimbo, quando me le leggevano da un prezioso libro colorato di verde che devo custodire ancora da qualche parte. O quando Pulcinella dorme e appare l’immagine di Anna Maria Ortese a scrivere le coordinate del film stesso. O le scene dei tombaroli nella Tuscia che rafforza la stretta relazione tra vita, morte e profanazione. Nella fascinosa alternanza tra reale e surreale, Pietro Marcello ha costruito un film importante, originale, coraggioso. Profondo da meritare più visioni perché non pretende di spiegare ma di capire. Un’opera che….perduta non sarà.