Le immagini belle e tragiche di Un Mondo Fragile fatto di polvere e sconfitte

un mondo fragileAnche a ventotto anni è possibile fare buoni film. La riprova è fornita da César Acevedo che con la sua opera prima ” Un Mondo Fragile ” si è portato a casa dal festival di Cannes la Camera D’Or e soprattutto il plauso di critica e pubblico per questo piccolo gioiellino che forse non scalderà le platee ma le inviterà a riflettere e a dare uno sguardo per niente superficiale su ciò che accade in un mondo che appare milioni di anni luce lontano da quello ovattato e comodo che si conosce. Parliamo di un mondo distante perché Acevedo ambienta la sua storia nella Colombia autentica, quella dove ogni giorno i contadini devono affrontare soprusi, ricatti, violenze dirette e indirette e lottare per una sopravvivenza che appare quasi come un miraggio. Non c’è bisogno in questo film di andare alla ricerca della scena madre, dell’azione, del fatto eclatante, della sovrabbondanza di parole. Un Mondo Fragile fluisce con la secchezza propria del cinema che si fonda sui contenuti, che non ha necessità di spiegare ciò che si vede, che non ha mai la pretesa di sottolineare uno stato d’animo. Basta osservare i volti di protagonisti e comparse, farsi trascinare dallo scorrere del tempo della storia, ascoltare le poche ma profonde battute che si scambiano gli attori.

C’È una strada lunga, quasi infinita, non asfaltata. In lontananza un uomo con una valigia in mano avanza a poco a poco verso la macchina da presa. Passa un camion e tutto viene celato, una nuvola di polvere circonda il corpo del viandante che cerca riparo tra le canne da zucchero. È la scena dell’incipit, un piano sequenza lungo, senza titoli che riesce già a dirci che questo sarà un film dove la polvere, la durezza della natura e della vita saranno centrali e non semplici guarnizioni. L’uomo si chiama Alfonso. Scopriremo che sta tornando in quella fattoria che ha abbandonato diciassette anni prima e nella quale sono rimasti moglie, il figlio, la di lui compagna e il figlioletto di sei anni. Ci torna per accudire il figlio malato, perché in quella vecchia stamberga hanno bisogno di lui o forse per condividere un addio. Non esistono scene madri, non esiste forzatura dello script. Un Mondo Fragile scorre per davvero come se fosse un fiume e anche le spiegazioni di quell’essere andato via di Alfonso e di quel restare da parte del nucleo familiare arriveranno a tempo debito. È così che Acevedo ci parla della sua Colombia, dello stato della sua gente, di quella che se ne sta in campagna a difendere la propria terra, a lottare per un tozzo di pane e per un salario quotidiano che a volte arriva ma troppo spesso no.

SONO le immagini a spiegare più di mille parole. È il microcosmo che Alfonso cerca di ricostruire per dare al nipotino un briciolo di speranza e di fiducia nella natura. Sono i volti devastati dalla fatica di madre e nuora al lavoro nei campi, intente, assieme ad altri, a tagliare le canne da zucchero. È la fuliggine che cade lentamente la sera, dovuta agli incendi delle piantagioni. È il rantolo faticoso, intermittente, del figlio. È il buio delle stanze, creato dalle finestre chiuse, perchè nulla di ciò che accade fuori può entrare nella misera e decadente fattoria; potrebbe costare la vita all’ammalato. Luce e oscurità si alternano sullo schermo tra il silenzio dei protagonisti, ognuno dei quali ha le proprie ragioni per essersene andato via o essere rimasto. Non è un mondo felice: come la cenere che di mattina viene spazzata da Alfonso, l’esistenza della famiglia non offre speranza se non nello sradicamento. Come canna da zucchero tagliata anche i campesinos di Acevedo sono privati della radice, delle proprie fondamenta. Chi lotta per restare è destinato all’isolamento. Chi se ne andrà a portare sulle spalle il peso del fallimento. Tutto accade;vita e morte senza possibilità alcuna per chi resta di lottare, di fermare l’apocalisse umana e lo scempio di una contemporaneità che non ammette l’ingresso di questi << esclusi >>, usati come schiavi, non ripagati, non curati. Non ci sono ricoveri per l’ammalato di Un Mondo Fragile ma medicine sbagliate prescritte dalla fretta di chi si disinteressa al problema. Non ci sono buoni ma solo vittime designate. In questa fragilità congenita l’unica forza è quella di Alfonso di non abiurare alla scelta antica di essersene andato pur di non osservare lo scempio e cercare con disperazione di salvare almeno il nucleo familiare o, ugualmente, quella di restare ancorata a questo mondo in disfacimento come fa l’anziana moglie Alicia. Scelte entrambe consapevoli e meditate mentre attorno tutto brucia.

FILM non urlato Un Mondo Fragile allontana da subito i rischi dell’esaltazione edulcorata della civiltà arcaica o della malinconia di un mondo che verrà spazzato via. È da questa davvero straordinaria secchezza e precisione che Acevedo poggia le fondamenta della propria opera prima. Sfiora la poesia per le inquadrature, per i quadri che riesce a creare e l’ambiente che descrive. Dove tutto s’imputridisce, dove il fatiscente è la cartina al tornasole di una decomposizione programmata, dove il fumo degli scarichi di scassati autobus e la polvere degli sterrati portano a strade delle quali, se non nel finale, non s’intravede mai la fine. La scena che precede quella conclusiva vale da sola il prezzo del biglietto: è l’essenza stessa del film, è un tragico quadro disegnato da un macchiaiolo su consiglio di un espressionista: un cadavere portato di corsa su una lettiga, la famiglia che osserva, mentre tutto attorno e senza alcuna alternativa fiamme si levano in un giorno che potrebbe essere notte. È la forza dell’immagine che questo regista privilegia rispetto al resto, mostrando potenzialità che potrebbero farlo diventare un maestro. Ama i particolari; una scopa che spazza la cenere nera, i cani randagi che accorrono al canto di un ubriaco, i letti che paiono sudari, i corpi e i volti, sofferenti, orgogliosi, perplessi, disfatti, stanchi sui quali la macchina da presa indaga alla McQueen, il silenzio rumoroso dei miseri pasti, l’osservazione insistita delle mani, il fruscio delle canne da zucchero, il bofonchiare imbronciato degli scarichi puzzolenti. Di questa colonna visiva e sonora Un Mondo Fragile si fa portatore per narrare, spiegare e porci qualche domanda. Scomoda.

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