Non mi era mai capitato, se non da bimbo durante le proiezioni dei cinema parrocchiali, di ascoltare gli applausi al termine di un film. Beh , è successo proprio poco fa appena sono apparsi i titoli di coda di << Gomorra >> di Matteo Garrone. Non ero al festival di Cannes e nemmeno circondato da cinefili incalliti. Ma da persone che avevano scelto questo titolo per trascorrere in modo intelligente e divertente- senza divertimento né cinema né letteratura avrebbero senso- il sabato sera. Di << Gomorra >>, campione di incassi al botteghino, hanno parlato tutti.Per la prima volta nella propria- ancora breve- carriera, Garrone si cimenta con una munifica produzione, con un attore di grido, con un romanzo talmente noto da risultare assai scomodo nella traduzione per immagini. Un terreno impervio, minato, nel quale in molti sarebbero scivolati. Ci sono grandi registi di piccoli film che diventano piccoli nel momento in cui si trovano alle prese con l’obbligo di realizzare qualcosa di importante e popolare, destinato non al cinefilo incallito, al pubblico specialistico, a quella che bene o male si può definire un’elite di intenditori. Garrone no. Anzi. << Gomorra >> è il suo risultato cinematografico migliore. Tenendo lontano la smania di interpretare a modo suo il romanzo, ma limitandosi in modo molto onesto a renderne una lettura quasi << veristica >>, naturale, estrapolando cinque episodi, l’autore crea un’opera di largo respiro, di maturità acquisita. E’bravissimo nel non volersi sostituire agli accadimenti, nel trattenersi dallo scegliere un’ottica << morale >>, nel non volere a tutti i costi inviare << messaggi >>. Elimina il superfluo, va al nucleo del problema, diventa testimone di un fenomeno criminoso che è sociale. Non offre medicine, cure, non lancia anatemi. << Gomorra >> di Matteo Garrone, e non di Roberto Saviano che ha preso parte alla sceneggiatura con umiltà, lasciando anche totale libertà al regista, è film che arriva come un pugno in faccia alle speranze di poter cambiare il corso degli eventi. La camorra impera perché nel quartiere di Scampia non esiste Stato. Non c’è, non è nemmeno richiesto ,non serve. E’la camorra che paga silenzio e aiuti, che offre lavoro, che pone obiettivi. Indirettamente il film si presta a molte letture, non troppo comode per le istituzioni. Ci si chiede perché si sia arrivati fino a questo punto, ci si domanda i motivi per i quali il popolo delle << Vele >> – sia chiaro di romanzo e di film – viva di camorra accettandola come fatto normale, come unico mondo conosciuto e quindi possibile. Ci sarebbe materiale per gli esegeti, ci sarebbe da rivedere un altro stupendo film su Napoli e le proprie rivoluzioni fallite – << Il resto di niente >> di Antonietta De Lillo più che << Le mani sulla città>> di Rosi-, ci sarebbero mille studi per spiegare il fenomeno senza peraltro immaginare soluzioni. Garrone ci consegna un messaggio tragico, senza alcuna speranza, senza alcun barlume di una potenziale salvezza. Facendo vivere i propri personaggi e non imbeccandoli con slogan, rinunciando agli archetipi crea un film dirompente, << pubblico >>, nel quale lo spettatore è bersagliato nello stomaco ad ogni sequenza.La genialità del regista è rafforzata dai sottotitoli in italiano per un film << vissuto >> e non recitato se non in napoletano. Come se volesse dirci che noi assistiamo da terzi, da alieni. Che per la gente di Scampia noi non siamo, non esistiamo, non abbiamo nulla da proporre. Un confronto tra straniero e straniero. Lo fa con maestrìa unica, come un grande romanziere. Secco, artificialmente distaccato, equilibrato, umile, dinamico: credenziali che fanno di Garrone non più un regista di culto per << suonati >> come me ma un maestro capace di creare un’opera che verrà ricordata a lungo. Non solo in Italia.