Il viaggio di Mezzapesa nell’essenza di una tragedia
Qui non è Hollywood di Pippo Mezzapesa è qualcosa di più della narrazione del delitto di Avetrana o di una semplice serie televisiva su uno dei fatti di cronaca più pubblicizzati e popolari del XXI secolo italiano. È un vero e proprio film diviso in quattro puntate-visibili su Disney+– che ribalta le regole del gioco, elevando un soggetto già forte di suo a esempio di come si possano produrre opere intelligenti e di grande qualità andando contro le convenzioni. Qui Non è Hollywood se ne sta alla larga dalla classicità, dai compitini. Perché non si tratta di affrontare un caso delittuoso e delle sue conseguenze processuali, stranote ai più. Mezzapesa si prende il rischio di percorrere un vero e proprio viaggio antropologico nei meandri meno conosciuti della sua regione di nascita, la Puglia. Sfugge dal didascalico costruendo assieme ai suoi sceneggiatori Antonella Gaeta e Davide Serino, un’opera solida, profonda, in cui tragedia, aspetti socioculturali e psicologici, diventano i veri protagonisti di questo film-serie. Mezzapesa indaga, non giudica né emette sentenze. Mostra perché è in grado di penetrare nella psicologia dei suoi personaggi, come se egli stesso appartenesse a quella gente e sentisse il peso della devoluzione di una famiglia, nello specifico quella Misseri-Scazzi. Per questo i quattro episodi che compongono Qui Non è Hollywood, nell’ordine Sarah Scazzi, Sabrina Misseri, Michele Misseri e Cosima Misseri, possono benissimo vivere di luce propria, creando, anche per merito della mostruosa prova degli attori, un’assoluta empatia con lo spettatore.
Come è cupa la zona grigia
Nella sua indagine, Mezzapesa gioca su contrasti che vanno ben al di là del bianco e del nero. Non c’è colpevole, non c’è innocente: c’è una zona grigia ed è quella che interessa. Si seguono con precisione le carte processuali- il film è tratto dal libro di Flavia Piccinni e Carmine Gazzani Sarah:la ragazza di Avetrana– ma queste si trasformano in grimaldelli per giustificare la scelta di sceneggiatura e di costruzione di Qui Non è Hollywood. Il focus è sulla società, su un mondo ancorato al matriarcato, dove le donne stabiliscono le leggi della convivenza familiare, dettando le regole e prendendo le decisioni. Tutto nel film ruota attorno a questo universo femminile in cui il contemporaneo è lo schermo televisivo o il social media da manipolare e farsi manipolare ma poi le porte delle case si chiudono, così come le finestre e nel buio delle stanze l’obbligo è preservare la famiglia. È appunto la zona grigia che permette a Mezzapesa di raccontare quattro modi differenti di affrontare e subire il delitto; ognuno di essi intrecciati dal convitato di pietra: il peso della dissoluzione della famiglia stessa, quasi un’allegoria sulla fine di un mondo arcaico.
Tra maschere e corpi nulla è lasciato al caso
Per descrivere i suoi perdenti Qui non è Hollywood rivolge una rigorosa attenzione alle maschere tragiche e ai corpi dei protagonisti, a tal punto da riecheggiare ricordi del miglior Matteo Garrone. Se da una parte c’è l’efebica bellezza di Sarah, dall’altra tutto diventa carne, cibo, grasso, voracità. Mezzapesa e il direttore della fotografia Giuseppe Maio indugiano su questi particolari, mai secondari, fin dal primo episodio. Scelgono di illuminare o oscurare, di andare su primi piani che puntano direttamente agli occhi o alla pinguedine, alle labbra e alle mani perché in questo modo caratterizzano anche gli aspetti psicologici dei protagonisti, ognuno dei quali viene sempre accompagnato da una sorta di pietas, il che non significa giustificazione né comprensione ma condivisione di una tragedia che va oltre il caso di cronaca. Così non esiste un episodio superiore all’altro. Lo spettatore osserva e intuisce, si disinteressa di colpevolezza e innocenza, guarda all‘essenza di Sarah, Sabrina, Cosima e Michele perché questo è Qui Non è Hollywood.
Normalizzare la mostruosità
Mezzapesa ci parla di mostri e tali ce li presenta, modificando, grazie al lavoro di Sara Fanelli, Valentina Visentin, Alessandra Vita e Sefora Loprete , i tratti somatici dei suoi attori. Fa lievitare la corporatura di Giulia Perulli e Vanessa Scalera, Sabrina e Cosima, imponendo loro un’esatta somiglianza con i personaggi reali come del resto accade alla giovanissima e sempre più convicente Federica Pala, Sarah, a Imma Villa, Concetta, e allo strepitoso Paolo De Vita, zio Michele. E proprio come fosse una tragedia greca tutti recitano in modo corale ed ognuno offre prove che non si dimenticheranno. In poche parole sono bravissimi, aderenti alla realtà, dentro alla parte per dirla in gergo cinematografico con l’esuberante innocenza di Pala che si scontra con le ossessioni , le insicurezze, trasformate in psicosi, di Perulli o la frustrazione di essere terzo rispetto alla famiglia di De Vita, alla maschera solo in apparenza inscalfibile di Scalera fino al finto distacco di Villa. Così in questa commedia degli orrori, scandagliata dal sonar dei mass media-altro aspetto cruciale dell’indagine di Mezzapesa– , nulla diventa più umano di questi mostri ed è giusto tributare a Qui Non è Hollywood il giusto plauso. Non è una serie ma uno dei migliori film dell’anno. Punto.