Kaurismäki: una favola per svelare il reale. Senza buonismo né pietismo. Con poesia

DI CINEMA che si occupa di migrazioni e clandestinità, di rifugiati, di richiedenti asilo ne abbiamo visto parecchio. Esistono vari modi di affrontare il problema. Quello spiccatamente documentaristico, votato alla crudezza realistica, spesso non riesce a trasmettere in toto ciò che vorrebbe, per il semplice motivo che i discorsi che stanno a monte sembrano teorie da dimostrare, comizi travestiti per immagini. Finiscono quindi per sortire l’effetto opposto a quello desiderato. Esiste poi un cinema che si occupa di integrazione tra mondi differenti. Non fa parte del docufilm o di quella che ora chiamano nofiction; sono storie romanzate che spesso s’infrangono sul manicheismo degli stereotipi e non aggiungono nulla di nuovo né di differente da ciò che si sa. I buoni-le vittime- da una parte, gli ingiusti dall’altra. Non siamo amanti del cinema che imbraccia la spada della civiltà e cerca di imporla. Siamo piuttosto per un altro tipo di opere che quando affrontano un problema lo fanno dall’ottica appunto del cinema e quindi di una costruzione narrativa che giunge al proprio obiettivo finale attraverso una messa in scena, con personaggi ben caratterizzati che recitano un copione. Dove le mosse di ognuno sono veritiere ma non vere. Dove si arriva al nocciolo del problema con la finzione. È quello che fa da sempre Aki Kaurismäki ed è ciò che ci piace.

L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA è la riprova di come attraverso la favola, l’invenzione e anche l’assurdo si possa raccontare più realtà di quanto riescano i profeti dell’impegno a tutti i costi. Sulle ali, apparentemente spensierate, della leggerezza l’autore finlandese affronta il doppio problema della ricerca di un nuovo inizio da parte di chi fugge da terre devastate dalle guerre e della parallela crisi che sta colpendo l’Europa, divisa tra il suo senso morale di accoglienza e il timore che le ondate migratorie possano modificare le fondamenta stesse dell’impalcatura sociale, con i suoi valori, i suoi principi, le sue regole acquisite. Così, trascinandoci con la tradizionale dolcezza nel suo mondo colorato e in apparenza squinternato, Kaurismäki crea uno dei migliori lavori sul tema visti nelle ultime stagioni. Lasciando alla fine una lunga scia di amarezza interiore che però questo regista unico, non omologabile, preso spesso come modello di riferimento da molti, riesce come sempre a schermare con il sorriso e con la potenza di una scrittura delicata.

KAURISMÄKI vuole soprattutto portarci nei suoi territori ideali, ponendoci subito una domanda: l’individuo è migliore della società che lo rappresenta e che ne fissa i limiti in cui può muoversi? E la cosiddetta solidarietà che viene dal pubblico in quanto istituzione è reale o è una semplice finzione per essere in pace con la coscienza di Stato? Per farlo si affida a una doppia storia che prelude a un incontro. Da una parte quella di un meccanico siriano fuggito dai bombardamenti di Aleppo e approdato per pur caso e dopo mille vicissitudini a Helsinki e dall’altra quella di un venditore solitario di camicie che negli stessi momenti in cui il clandestino sbarca a Helsinki decide di cambiare vita, abbandonando la moglie, svendendo la propria attività e andando alla ricerca di un ristorante da acquistare per coronare il proprio sogno.

ESSENDO un film di Kaurismáki non si tratta di personaggi riconducibili al generico, all’usuale. Sono invece quelle maschere umane che il regista finlandese ha eletto a propri antieroi: individui stravaganti, piccolo borghesi o emarginati che si muovono da umili nell’apparente indifferenza di ciò che li sovrasta. Gente che rischia pur di giungere al proprio obiettivo, capace di rimettersi in gioco. Disperati che hanno perduto qualsiasi fede, ideale e materiale come indica una delle prime scene, mantenendo la vivacità di chi non si arrende, agendo con la fantasia dei << matti >>. Persone che camminano sulla corda tesa che da sul precipizio e restano in bilico, sospesi. L’area nella quale circola la variopinta e fantasiosa arca umana dell’autore è quella di cui Kaurismáki è il poeta riconosciuto: rockettari di mezza età- rispetto agli ultimi suoi lavori in L’altro volto della speranza c’è molta più musica, mai messa a caso e sempre portartrice di un messaggio di contrasto e di rafforzamento della scena- poliziotti, impiegati e funzionari pubblici, camerieri e cuochi, migranti, commessi viaggiatori, bande di violenti e innocenti. C’è soprattutto la straordinaria capacità dei suoi due protagonisti principali di non voler subire la condizione alla quale sembrano condannati. L’incontro tra i due fuggiaschi, verso il domani per il ragazzo siriano condannato alla clandestinità e verso l’acquisizione della propria identità per il commerciante, diventa l’occasione di mostrare quanto migliore sia la bontà dei singoli rispetto all’algida e benpensante finta commiserazione e accoglienza statuale ed europea. Così entriamo nel mondo della burocrazia idiota e cieca, dell’amicizia che nasce tra le vittime, della scoppiettante capacità di non rinunciare mai all’atto vitale per non cadere da sconfitti nell’equivoco dell’odio. Kaurismäki segue i suoi personaggi con l’occhio di chi li conosce, di chi si sente uno di loro.Non li commisera, non crea svendite di buonismo; restituisce decoro, dignità etica, orgoglio, in sostanza vita a chi si vorrebbe condannato a restare in ogni caso non visto, coperto dal carbone di una nave o imprigionato dall’assenza di sogni e di modi per raggiungerli.

L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA è un film bello, divertente. È spassoso e iconoclasta nel suo distruggere i tic delle mode contemporanee; solido nella creazione di no sense che assumono significato man mano che si procede;sceneggiato benissimo pur non essendo il migliore tra i lavori di Kaurismäki. Alcune situazioni sono già note, tipiche del proprio autore; a volte i comportamenti degli strampalati personaggi che popolano le scene sono prevedibili perché si muovono in piena coerenza- e ripetizione-con la filmografia precedente del finlandese. Non ha la forza di L’Uomo Senza Passato o l’amarezza di Le Luci della Sera; ma catapultandoci sulle montagne russe dell’assurdo Kaurismäki ci permette di affrontare con lucidità e senza ideologismi la paura più grande che attanaglia l’Europa, regalandoci alla fine non un Miracolo a Le Havre ma la possibilità che i suoi eroi avranno nel finale di poter sorridere al mondo, consci in ogni caso, da vincenti o da sconfitti, da presunti vivi o presunti morti-questo non è dato da sapere- di non aver lasciato nulla d’intentato per dare un senso alla vita e non alla sopravvivenza. Gli uomini, sembra dirci il regista, sono migliori della società nella quale vivono e delle maschere che indossano. L’Altro Volto Della Speranza resta un film superiore alla media, a tratti magico, di fortissimo impatto con interpreti eccellenti e una fotografia che sull’uso delle inquadrature e soprattutto dei tagli di luce regala momenti di pura poesia. Come solo Aki Kaurismäki è capace di offrire.

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